Atlante delle parrocchie: la collezione è completa

Questa settimana si completa la collezione dei 36 fascicoli che compongo l'Atlante delle parrocchie. In filo rosso che collega tutte le 459 comunità parrocchiali della chiesa di Padova, una miniera di indicazioni e spunti per il turista religioso intelligente. Sono innumerevoli i tipi di itinerario che si possono costruire a partire dall'Atlante. Un esempio: sulla scia della mostra “L’uomo della croce”, di qualche tempo fa, proponiamo una serie di sculture di Cristo intagliate nel legno, che mostrano momenti e modi diversi di contemplare il mistero della morte di Gesù redentore.

Atlante delle parrocchie: la collezione è completa

Con questa settimana si completa la disponibilità di scaricare on line nel sito del settimanale diocesano l’Atlante delle parrocchie, la pubblicazione curata dalla Difesa che descrive succintamente tutte le 459 parrocchie della diocesi, nella loro storia e nelle opere d’arte più significative.

I 36 fascicoli tutti insieme formano un “volume” di più di mille pagine (1008 per la precisione) che non è stato pensato come opera di erudizione storico-artistica, ma piuttosto come un utile vademecum per scoprire o riscoprire le tante bellezze, o tanti piccoli e grandi capolavori di arte sacra che costellano il nostro territorio diocesano.

Nessuna comunità, neanche la più piccola, è priva di un qualche oggetto artistico di antica o recente fattura che parla della devozione della nostra gente. I fascicoli, tutti insieme, benché non rendano conto dell’intero patrimonio artistico diocesano, si prestano a ulteriori approfondimenti, a “esplorazioni” tematiche che guidano a non poche, gradite sorprese. Si potrebbero usare per scoprire le opere eseguite in altre comunità da artisti che hanno lavorato nella propria parrocchia, oppure gli oggetti artistici di questo o quel secolo, come abbiamo cercato di suggerire nelle pagine che sulla Difesa di volta in volta illustravano il fascicolo reso disponibile.

Si potrebbe, in forma ancora più ambiziosa, confezionare degli itinerari a tema, seguendo un soggetto particolare legato a un certo tempo liturgico o a una devozione personale. A titolo esemplificativo abbiamo voluto, in questo numero finale, ripercorrere un tema che già tre anni fa fu oggetto di una mostra, “L’uomo della croce. L’immagine scolpita prima e dopo Donatello”, curata dal museo diocesano, in occasione del centenario dell’editto di Costantino.

Il tempo quaresimale rende particolarmente attuale la devozione a Gesù crocifisso e le nostre chiese sono ricche di splendidi crocifissi, dipinti o scolpiti. Tra quelli intagliati nel legno, a quel tempo gli esperti del museo ne scelsero sette (provenienti dalla cattedrale e dalle chiese di Chiesanuova, Este, Polverara, San Gaetano, Santa Lucia, Santa Maria in Vanzo), tre dei quali (Chiesanuova, Polverara e San Gaetano) furono oggetto di un accurato restauro.

Il crocifisso assente, ma ideale perno dell’intera operazione, era quello della chiesa dei Servi che gli studiosi hanno riconosciuto essere opera del Donatello. A questo capolavoro, oggetto di un magnifico restauro, è stata dedicata una mostra specifica, che l’ha messo accanto ad altre due opere dello stesso maestro quattrocentesco. Il museo non si è limitato a curare la mostra: è stata anche realizzata una guida che suggerisce ai gruppi parrocchiali di fare per l’appunto ciò che ora proponiamo anche noi, andare alla riscoperta dei crocifissi che ogni comunità possiede e compiere una visita-pellegrinaggio alle opere più belle e significative presenti in diocesi per capire che cosa esse vogliono dirci, in modo diverso a seconda dell’epoca in cui sono state eseguite, sulla nostra fede e sulla bellezza.

La mostra al museo ha posto l’accento su tre tipologie di crocifisso, come hanno evidenziato i testi del conservatore Carlo Cavalli, di Maddalena Ferrari e don Giorgio Bezze. Mentre nei primi secoli il Cristo anche sulla croce era mostrato “trionfante”, già risorto (come, per citare un’opera moderna, il Cristo di Vangi in cattedrale), nel Duecento, soprattutto per opera degli ordini mendicanti, si diffuse la devozione al Cristo sofferente, inchiodato sulla croce, con la testa reclinata, vittima della violenza umana per riscattare l’umanità dal peccato. L’umanesimo ha accolto questo Gesù umano, ma ne ha sottolineato la bellezza “classica” del corpo, sofferente ma composto, che anticipa la resurrezione e “divinizza” le sembianze umane.

Poi vennero la riforma protestante e quella cattolica del concilio di Trento: dalla seconda metà dei Cinquecento il corpo di Cristo viene effigiato «pervaso da un nuovo afflato di vita». Il momento ideale è quello, di grande emotività, che precede di poco la morte, con gli occhi aperti e rivolti verso l’alto, la testa rovesciata all’indietro in un grido verso il cielo a esprimere uno spasmo di sofferenza e insieme un anelito di resurrezione.

Le chiese della diocesi offrono esempi efficaci di come si è evoluto lo stile dei crocifissi intagliati, a partire da quello della seconda metà del Trecento della Cattedrale, chiaramente ascrivibile al tipo del “Cristo morto”, modello che si va via via raffinando dal punto di vista anatomico con l’avvento degli ideali estetici umanistico-rinascimentali e barocco-rococò.

Ecco quindi un altro Cristo “doloroso” come quello di Polverara, riscoperto dal restauro nella sua preziosa cromia originale. Al 1430 si rifà invece il Cristo di Chiesanuova, in cui il dolore si fa più raccolto e composto, come accade anche nel Cristo di Centrale, di un decennio successivo. Simili tra loro appaiono i crocifissi del 1450-60 di Santa Maria in Vanzo e Vigonza (per cui si è fatto non unanimemente il nome del toscano Nicolò Baroncelli), ma anche di Vigodarzere, San Tomaso Becket, San Benedetto, Cittadella e Casale di Scodosia.

Un discorso a parte meritano il “Divin crocifisso” di Pove e il gruppo scultoreo di Arsié che colloca ai piedi della croce i dolenti: la Madonna e san Giovanni evangelista.

Alla fine del Quattrocento risale anche il crocifisso venerato in una delle chiese descritte nell’ultimo Atlante delle parrocchie, Voltabarozzo, proveniente da Polverara, a cui nell’Ottocento sono stati attribuiti alcuni eventi prodigiosi. Ai crocifissi “controriformisti” del Seicento, di cui è massimo esponente il segno di Vannini realizzato per la chiesa di San Gaetano in Padova (esempio canonico del Cristo “vivo” proteso verso il paradiso), rimanda la scultura di Fener, mentre il Settecento trionfa con il suo modellato perfetto, composto e pacato, già proiettato nella visione dell’aldilà, nei crocifissi estensi di Francesco Terilli, “intagliador da Christi”, e nel crocifisso di Giovanni Bonazza realizzato per la chiesa del Corpus Domini.

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