Basilica del Carmine, la Trasfigurazione nascosta

Gli ultimi restauri eseguiti nella basilica hanno portato alla luce un affresco ancora di ignota attribuzione, facendo presagire che altri siano ancora celati. Restaurate anche le tre statue della facciata e il monumento ai caduti.

Basilica del Carmine, la Trasfigurazione nascosta

Ogni volta che si mette mano alla basilica del Carmine si scopre qualcosa: non hanno fatto eccezione i più recenti restauri in ordine di tempo, l’ultimo dei quali, quello al monumento ai caduti, terminato proprio in questi giorni. La vera sorpresa, però, è stato il rinvenimento di un affresco cinquecentesco sotto ben due strati di intonaco nella lunetta dell’altare che oggi ospita la seicentesca statua lignea della Madonna del Carmine.

Ma andiamo per ordine: la scoperta è stata fatta durante il restauro complessivo della cappella e dell’apparato architettonico che racchiude la preziosa statua. La storia della cappella è complessa: era presente nella chiesa anteriormente al 1491 e godeva del patronato della famiglia Scaltanico, che passò poi alla famiglia Conti: nel 1539 Pietro de’ Conti vi fece erigere un altare, dedicato a sant’Alberto, il quale fu poi traslato nel 1799 nella quarta cappella a destra.

Nel frattempo, i lavori di rifacimento del presbiterio di fine Settecento costrinsero a smontare i due altari delle cappelle laterali allo stesso: uno, quello in origine dedicato alla carmelitana santa Maddalena de’ Pazzi (1672), ne prese il posto. Questo stesso altare, realizzato dallo scultore Pietro da San Nicolò con tre statue alla sommità, fu prescelto per ospitare la venerata statua della Madonna del Carmine (la pala di Santa Maddalena fu spostata nella terza cappella di sinistra), ed è stato oggetto del recente restauro.

Era noto che, per lascito testamentario, il citato Pietro de’ Conti aveva richiesto che la lunetta venisse affrescata con la Trasfigurazione di Cristo: non c’era però la certezza che l’opera fosse stata eseguita o che fosse ancora presente. «Dalla lettura delle indagini preliminari di laboratorio – spiega l’architetto Mario Bortolami che ha progettato e diretto i lavori – ci aspettavamo di trovare delle porzioni affrescate, oppure, sotto lo strato di intonaco steso a fine Ottocento, alcune decorazioni come quelle presenti nel vicino altare. Invece ci siamo accorti che vi era un intonaco ancora precedente, settecentesco. Fatti fare dei saggi in due punti chiave dove, a logica, avrebbe dovuto esserci l’affresco, sono emerse due figure: Mosè e il Cristo».

In accordo con la Soprintendenza alle belle arti, a mezzo della preziosa presenza della dottoressa Monica Pregnolato, si è proceduto a portare alla luce l’affresco, che ora appare nella sua maestosità con la figura di Cristo al centro, Mosè con le tavole della legge a destra e il profeta Elia a sinistra. La parte inferiore, quella in cui erano raffigurati i tre apostoli che assistevano al prodigio, doveva essere già perduta nel 1794, anno in cui si spostarono gli altari, come attesta la data impressa a carboncino da un “murer”, muratore: sono state ritrovate solo due braccia di apostoli.

«Le indicazioni bibliografiche indicherebbero l’autore in Dario Varotari – spiega il parroco, mons. Alberto Peloso – già attivo nella chiesa e nell’attigua scoletta, ma si è supposta anche la mano di Domenico Campagnola, di cui si rilevano somiglianze con affreschi eseguiti a Praglia e al quale è attribuito con qualche dubbio un affresco della scoletta. Altra ipotesi più difficile è che sia opera di Stefano dall’Arzere».

«Le pennellate sono vigorose e espressive e ben equilibrate nei colori e nelle composizioni figurative», rileva Bortolami, facendo intendere che si tratta comunque di un’opera di qualità sulla quale si sta anche scrivendo una tesi di laurea.

Tornando alla cappella nel suo complesso, ora è tornata a risplendere e a dare giusto e degno risalto alla statua della Madonna del Carmine, attribuita al grande scultore Andrea Brustolon. Il restauro ha provveduto al lievo dei più recenti incongrui intonaci cementizi anche nel resto della cappella, saturi di umidità, e al consolidamento e pulizia di quelli che si presentavano decoesi; puliti anche lo zoccolo marmoreo e il pavimento in marmo bianco e rosso ammonitico di Verona; l’intervento ha previsto infine l’impermeabilizzazione delle murature esterne della cappella.

Si è proceduto quindi al restauro dell’intero apparato architettonico, in pietra di Vicenza con inserti e colonne in marmo di Calacatta, in particolare con la pulizia dei depositi di polvere e cera stratificatisi nel tempo, consolidamenti e protezione con cera microcristallina.

«I restauri sono sempre fatti a scopo pastorale – conclude il parroco – allo scopo di offrire bellezza ai fedeli, perché Dio è bellezza e le opere dell’uomo gli rendono gloria. La gloria di Dio è l’uomo vivente, che si esprime al meglio proprio nelle opere d’arte, come quelle di questa chiesa che ne cela certamente delle altre sotto gli intonaci».

Tutti i costi sono stati sostenuti dalla parrocchia con fondi propri e offerte dei fedeli. L’intervento di restauro dell’affresco è stato eseguito dalla ditta Restoring art di Rossano Veneto, l’esecutore dell’impianto elettrico è la ditta Concon impianti di Piove di Sacco. Le analisi diagnostiche preliminari sono state eseguite dalla Siltea, giovane azienda spin-off dell’università di Padova.

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