Canonici della Cattedrale. San Bellino (che non è morto assassinato)

Arciprete della Cattedrale e poi vescovo combattivo e riformatore. Tra i vescovi di Padova scelti nell’ambito del Capitolo della Cattedrale spicca sicuramente la figura di Bellino, che sedette sulla cattedra di san Prosdocimo tra il 1128 e il 1147.

Canonici della Cattedrale. San Bellino (che non è morto assassinato)

Tra i vescovi di Padova scelti nell’ambito del Capitolo della Cattedrale spicca sicuramente la figura di Bellino, che sedette sulla cattedra di san Prosdocimo tra il 1128 e il 1147. Prima di diventare vescovo egli, per citare le parole di Sante Bortolami, si era formato «in una lunga militanza nell’ambiente del Capitolo all’ombra di Sinibaldo» il vescovo che l’ha preceduto e che ha avviato la «nave della chiesa padovana verso i lidi dell’ortodossia della fedeltà a Roma» dopo i drammi scismatici della lotta per le investiture, con divisioni e lotte che non potevano non ripercuotesi ai vertici della diocesi. La prima data che vede Bellino arciprete della cattedrale è il 1109.

Nell’11° e 12° secolo era usuale che la prima dignità capitolare fosse il gradino d’accesso al seggio episcopale.

Quando Bellino divenne vescovo, la chiesa padovana era patrimonialmente in ginocchio, per cui la sua prima “offensiva” fu volta a recuperare l’effettivo controllo su risorse religiose e chiese e alla restituzione dei beni usurpati: case, masserie, mulini, boschi, diritti di caccia e di pesca, decime... Accanto a questo intento, Bellino conduce anche un instancabile lavoro di ripristino della disciplina e della carità all’interno della vita ecclesiale chiedendo al clero un comportamento esemplare, perseguendo gli indegni, potenziando la presenza di chiese rurali, chiedendo la collaborazione dei canonici per ripristinare l’unità interna della chiesa padovana. Sono virtù e azioni tipiche di un vescovo che si propone di attuare la riforma “gregoriana”, il che giustifica la fama di santità.

A questo punto s’innesta la questione della figura storica di Bellino vescovo e martire, a cui si riferisce la leggenda scritta nel 1288, oltre un secolo dopo la morte, dal vescovo domenicano di Adria Bonagiunta. In essa, oltre all’elenco stereotipato delle virtù, si asserisce che Bellino sia stato aggredito e ucciso da sicari presso Fratta Polesine il 26 novembre 1151, mentre tornava da Roma. Il corpo venne sepolto nella chiesa di San Giacomo, ma un’alluvione ne fece perdere la memoria; il luogo della sepoltura fu miracolosamente rivelato a un certo Giovanni di Fratta e il corpo deposto nella pieve di San Martino di Variano che da allora cambiò nome diventando San Bellino.

All’esame dei documenti questa storia mostra vari punti critici: la data della morte coincide nel giorno e nel mese e non nell’anno con quella del vescovo padovano, che sarebbe morto quattro anni prima. Gli archivi di Padova non hanno alcun accenno all’assassinio e nessuna devozione è registrata nel 12° e 13° secolo, come sarebbe stato normale se un uomo così fosse stato ucciso. È quindi Bonagiunta che, trovando un culto nella diocesi di Adria verso un santo di nome Bellino di cui poco si sapeva, ne fa coincidere la figura con il vescovo della vicina Padova. Le ragioni di opportunità per questa operazione non mancavano: lo stesso Bonagiunta era autore di un’azione di recupero dei beni diocesani analoga a quella di Bellino e la figura dell’allora vescovo di Padova, Bernardo, presenta numerose coincidenze con quella narrata dalla leggenda belliniana.

Al punto da essere “profetica” perché Bernardo morì davvero assassinato nel 1295.
Bonagiunta, fautore di un’alleanza tra Adria e Padova in funzione antiestense, usò probabilmente Bellino come offerta di amicizia alla vicina diocesi, dando contemporaneamente alla sua diocesi, che ne era priva, un patrono, ancorché straniero, forgiando una figura episcopale eroica per le proprie esigenze locali e regolarizzando un culto adriense poco chiaro per un Bellino non meglio identificato.

Copyright Difesa del popolo (Tutti i diritti riservati)