Casa, gruppo Whatsapp e libertà: tre parole chiave del sinodo

Quasi la metà dei gruppi sinodali si è incontrato per la prima volta. «Quanto bene sta emergendo! E il primo bene sono le persone». Tre le parole chiave per dire cosa sta funzionando: casa, gruppo Whatsapp e libertà.

Casa, gruppo Whatsapp e libertà: tre parole chiave del sinodo

I numeri del sinodo dei giovani sono noti, ora proviamo a guardare… oltre. «Per dire tutto il bene che è emerso – sottolinea don Mirco Zoccarato, responsabile diocesano della pastorale giovanile – a partire dalle persone: loro sono il primo “bene” che il sinodo dei giovani ha smosso. I giovani che si stanno mettendo in gioco ci dicono di essere contenti di aver ricevuto l’attenzione di qualcuno; di essere stati “agganciate” da questa esperienza; di venire provocati da domande di verità, quelle delle tracce per i gruppi sinodali, che toccano vita, fede, sogni, futuro. Ci dicono, inoltre, che è positivo il confronto su questioni che spesso non sono oggetto di discussione né nella propria compagnia di amici né a volte tra animatori in parrocchia».

La forza della casa

In questo momento circa metà dei gruppi sinodali hanno svolto la prima delle tre tracce. «Sta funzionando – continua don Zoccarato – che questi incontri avvengano in una casa, del moderatore del gruppo o di un altro partecipante. È un luogo familiare. “Casa” diventa quasi una parola chiave: dice il desiderio di calore, profondità, intimità, anche nel modo di vivere la fede nella comunità parrocchiale. Vivere la fede nel piccolo gruppo, proprio come facevano le prime comunità cristiane. Viverla non come “un numero” di una realtà più grande o una categoria, ma come persone originali e preziose, attraverso rapporti ispirati all'accoglienza, dove si possono condividere domande, dove ci si può raccontare in profondità».

Gruppo Whatsapp

L’altra parola chiave, per dire come stanno andando le cose, è “gruppo Whatsapp”: «I giovani si sono coinvolti tra loro. A invitarli al gruppo sinodale sono stati i coetanei, non il don o i “soliti”. Questo richiama la dimensione missionaria che è dentro a ciascuno di noi. Mi immagino che il moderatore si sia detto: ci credo a questa esperienza e mi fa bene, perché non può farlo anche a quei miei amici? E così è nato il gruppo sinodale. Il papa spesso ci parla di “chiesa in uscita”; concretamente i gruppi sinodali in moltissimi casi lo hanno fatto. Accanto ad animatori, scout o gente presente in parrocchia, molti giovani hanno saputo coinvolgere amici di vecchia data, compagni di università, colleghi di lavoro che magari da tempo si erano allontanati dalla comunità».

Libertà di…

C’è una terza parola chiave, che sta prima, ma anche dopo e pure tra le altre due. Fa da sfondo, da stile, da dinamica. «È la parola libertà: di poter dire quello che veramente si pensa tra pari; di poter dire il “proprio vangelo” su domande che chiamano in causa vita, fede, spiritualità».

Anche i tre weekend per i moderatori, che si sono svolti tra settembre e ottobre, hanno rimandato “cose grandi”. «Soprattutto – continua don Mirco – il desiderio dei giovani di scegliere bene per la loro vita. Ce l’hanno detto, quando hanno capito che durante i weekend non avremmo parlato delle cose pratiche del sinodo, ma di loro. Della loro capacità di discernimento. E cos’è emerso? Che ai giovani mancano alcuni criteri per discernere da cristiani. I “soliti” criteri: la Parola, l’accompagnamento di una guida, i sacramenti, la volontà di Dio, la preghiera, l’ascolto della realtà. Non si aspettavamo tutto questo, ma ne sono stati contenti. Sono arrivati a dirci, dopo i weekend: a fare questa esperienza dovrebbero esserci tutti i giovani coinvolti nel sinodo, non solo noi! Ci hanno mostrato il loro desiderio di ricentrarsi sui criteri del cristiano per scegliere nella vita. È questa la prima indicazione che viene dall’esperienza del sinodo: riportare i giovani al centro».

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