«Due papi, due veri testimoni del Signore»

A colloquio con mons. Gänswein, prefetto della Casa Pontificia e segretario personale di Benedetto. «Lui e Francesco sono autentici testimoni del Signore, e questa è la prima e più importante vocazione di un papa. Benedetto è una persona più incline alla parola, al pensiero, all’insegnamento. Francesco cerca sempre il contatto diretto con le persone, è molto immediato. Tutto questo si riflette anche nel modo di esercitare il magistero petrino. Ma la meta, va detto chiaramente, è la stessa».

«Due papi, due veri testimoni del Signore»

«Papa Benedetto – ricordava il suo segretario personale Georg Gänswein in occasione del suo novantesimo compleanno – spesso ha parlato del primato della preghiera, senza la quale tutto l’impegno dell’apostolato e della carità si riduce ad attivismo. Proprio nel momento della rinuncia si sentiva chiamato a “salire sul monte”, a dedicarsi ancora di più alla preghiera e alla meditazione per sostenere in questo modo la Chiesa e il suo successore sulla cattedra di Pietro».
Un impegno che prosegue nel monastero “Mater ecclesiae”, scandendo giornate il cui ritmo si plasma sullo stato di salute del papa emerito: giornate meno dense d’una volta, ma che vedono ancora Benedetto essere punto di riferimento per una densa rete di relazioni personali coltivate nel tempo e mai interrotte. Quelle stesse che hanno portato mons. Gänswein in Veneto, ad agosto, per partecipare alle iniziative in ricordo di mons. Luigi Sartori, protagonista con Ratzinger nel 1975 e ‘76 di due appuntamenti a Roana, sull’altopiano di Asiago, di dialogo teologico, frutto di un’amicizia maturata ai tempi del Concilio, vissuto da entrambi come giovani periti.

«Anche se negli ultimi decenni non si sono più visti – ricorda mons. Gänswein – rimane fresco nella memoria il ricordo di un teologo giovane e preparato, che ha saputo contribuire in maniera fondamentale con il suo pensiero allo sviluppo della teologia italiana».

Come sta papa Benedetto?
«Ad aprile ha compiuto novant’anni, la testa sta bene e se tutto fosse come la testa… in realtà papa Benedetto ormai cammina male, le forze fisiche sono diminuite. Ma è di buon umore, in buona compagnia, sereno, lucidissimo. Per camminare usa un deambulatore che gli garantisce autonomia nel movimento e sicurezza».

L’agenda delle sue giornate è ancora molto fitta?
«Non più come una volta. Le forze sono diminuite, e bisogna accettarlo. Le giornate sono ben scandite, tra preghiera, meditazione, lettura, studio, corrispondenza; ci sono anche visite, e la musica ha sempre il suo posto insieme alla passeggiata quotidiana. Ma non avrebbe senso esagerare… tutto deve adattarsi all’età raggiunta».

Chi gli scrive o chiede di incontrarlo, cosa cerca?
«Sono tantissime le persone che si rivolgono a Benedetto. Alcune che lui ha frequentato negli anni, ma moltissime che nemmeno conosciamo. Domandano un sostegno per la loro vita spirituale e si rivolgono allo studioso, cercando nella sua scienza teologica il fondamento e la radice di una vita cristiana. Non direi tanto che chiedono consigli, ma piuttosto che desiderano incontrare un esempio vivo di una fede salda. Salda, e intelligente».

Il suo compito la mette quotidianamente a contatto con i due papi. Cosa hanno di simile e di diverso, nella loro quotidianità?
«Tutti e due sono autentici testimoni del Signore, e questa è la prima e più importante vocazione di un papa. Poi certo hanno personalità diverse, frutto anche di un bagaglio di esperienze umane e pastorali molto diverse. Benedetto è una persona più incline alla parola, al pensiero, all’insegnamento. Francesco cerca sempre il contatto diretto con le persone, è molto immediato. Tutto questo si riflette anche nel modo di esercitare il magistero petrino. Ma la meta, va detto chiaramente, è la stessa».

In realtà specialmente sui social media, ma anche in parte della stampa e della pubblicistica italiana, si avverte il consolidarsi di posizioni che criticano Francesco prendendo proprio a modello Benedetto. E questo per quanto il papa abbia rimarcato con forza alcuni dei principi cardine di quel Concilio (dialogo tra chiesa e mondo, dialogo ecumenico, collegialità nel governo della chiesa) che nessuno ha studiato e conosce meglio di Benedetto…

«Guardi, è indubbio che non vi è una persona che conosca meglio il Concilio di Benedetto. E se si legge quanto ha scritto dagli anni Sessanta sino al papato, non c’è opera in cui non venga ribadita la necessità di applicare e concretizzare il Concilio. Un principio che anche Francesco, a modo suo, continua a ribadire. La percezione è che siamo di fronte a tentativi di strumentalizzazione, a cui sarebbe sbagliato dare eccessiva enfasi. Peraltro entrambi si rendono conto dei tentativi in atto di “mettere un papa contro l’altro”, ma intervenire davvero non serve...».

Lei ha accolto tanti capi di stato per l’anniversario dei Trattati di Roma. Papa Francesco in questi anni ha avuto parole di stimolo ma anche parole di dura critica nei confronti di un continente definito “nonna”. I nostri capi di stato avvertono il momento cruciale in cui la costruzione europea si trova oggi?
«Se si vuole usare un’immagine, oggi l’Europa è un cantiere. Io spero solo che ci sia anche un piano per il cantiere. In questo momento è evidente che abbiamo diverse mete, diverse visioni e anche diverse strategie guardando al futuro. La questione principale è: i nostri governanti hanno ancora la chiarezza di quei sei capi di governo che hanno avuto il coraggio di cominciare? Certo, oggi gli stati aderenti sono 28 ed è chiaro che tutto è più difficile, ma l’Europa non deve perdere la sua anima, le sue radici. Altrimenti diventa solo una costruzione di “ingegneria multinazionale” di cui ognuno cerca di approfittare per trarne vantaggio. Ma questa sarebbe solo una caricatura dell’Europa che sognavamo».

All’inizio di agosto è mancato il card. Tettamanzi. Ha un ricordo?
«Lo ho conosciuto abbastanza bene durante il papato di Benedetto, già negli anni in cui era arcivescovo di Genova. L’ultima volta lo abbiamo incontrato il 25 marzo a Milano, in occasione della visita di papa Francesco, ed era già molto sofferente. Lo ricordo come un pastore dal grande cuore, dal chiaro pensiero e capace di scelte importanti».

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