Essere catechisti oggi: una sfida difficile, e appassionante

È difficile fare il catechista, oggi? Confesso che la domanda non mi appassiona. Preferisco l’affermazione che ho sentito pronunciare da catechisti di ogni parte d’Italia: essere catechista è bello! A tutte le età, in qualunque condizione si sia chiamati a operare, con qualunque tipo di persone ci si debba confrontare (ragazzi, adulti, famiglie, catecumeni, ecc.). La riflessione di don Paolo Sartor, direttore dell’ufficio catechistico nazionale.

Essere catechisti oggi: una sfida difficile, e appassionante

È difficile fare il catechista, oggi? Confesso che la domanda non mi appassiona. Preferisco l’affermazione che ho sentito pronunciare da catechisti di ogni parte d’Italia: essere catechista è bello!
A tutte le età, in qualunque condizione si sia chiamati a operare, con qualunque tipo di persone ci si debba confrontare (ragazzi, adulti, famiglie, catecumeni, ecc.).
Certo è impegnativo muoversi in un contesto segnato, secondo i vescovi italiani, da «la secolarizzazione avanzata; il pluralismo culturale, etnico e religioso; una mutata percezione dell’impegno sociale e civile dei cattolici; l’esigenza di testimoniare armonia tra fede e ragione» (Incontriamo Gesù, 2).

Nuova mentalità, creatività
Questi fenomeni il catechista li conosce bene. Ecco perché avverte la necessità di un cambiamento.
Per accompagnare oggi i ragazzi nel cammino dell’iniziazione occorre una mentalità nuova, riscoprire la bellezza del proprio servizio e rimotivare il proprio essere catechista.
Fondamentale è allora il coraggio di rompere i cliché e di cambiare abitudini che rischiano di produrre proposte ripetitive. Anche per papa Francesco «non si capisce un catechista che non sia creativo. E [...] per essere fedeli, per essere creativi, bisogna saper cambiare» (udienza ai catechisti nell’Anno della fede, 27 settembre 2013).

Cura di sé
Poiché il catechista è anzitutto un discepolo del Signore, è importante curare il cammino personale e comunitario: spazi per la preghiera, l’ascolto della Parola, lo scambio e il dialogo…
Una formazione specifica chiede poi di agire in équipe. Lavorare da soli serve a poco quando l’obiettivo e quello di attuare una progettazione in cui più soggetti pensano quali esperienze di vita cristiana vadano proposte ai ragazzi e ai loro genitori.
Altre scelte formative vedono l’aiuto e la supervisione di esperti. Sono i laboratori vicariali o diocesani dove si sperimenta su di sé ciò che diverrà poi cammino di fede per adulti e bambini. Passo dopo passo si imparerà l’«arte dell’accompagnamento» (Evangelii gaudium, 169).

Un nuovo anno, per lasciarci “traslocare”
Si può allora avviare un nuovo anno catechistico con disponibilità e fiducia. Che bello poter cambiare! Che bello non essere imbullonati alle nostre abitudini, costretti nelle regole e negli obblighi che rischiano di toglierci il respiro!
L’essere umano è caratterizzato dalla possibilità di spostarsi, di migrare, di camminare. Di fatto nella vita si fa esperienza di continui traslochi.

Papa Francesco ha coniato un’espressione interessante. Dice che dobbiamo accettare di lasciarci desinstalar. Come se fossimo un programma sul computer, o un apparecchio collegato alla rete elettrica.
Rischiamo l’eccessiva stabilità, la conservazione, la ripetizione, lo schema rigido. Occorre lasciarsi disinstallare, scollegare, sradicare, trapiantare.

Auguriamoci, quest’anno, di lasciarsi spiazzare per non rischiare di aggrapparsi ostinatamente al già acquisito, a ciò che è sicuro perché bloccato, al “si è sempre fatto così”.
Lo dobbiamo ai nostri pastori. Ma prima ancora alla freschezza del vangelo di Gesù e ai desideri che ci confidano adulti e ragazzi.

don Paolo Sartor, direttore dell’ufficio catechistico nazionale

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