Formazione presbiterale al passo con i tempi

«Ci piacerebbe riuscire a formare personalità solide, radicate in Dio e nella disponibilità al dono di sé. Uomini capaci di essere nel mondo senza essere del mondo. Credenti capaci di discernere, di pensare e progettare». È questo un dei passaggi più significativi sulla formazione dei preti nell'intervista a don Giampaolo Dianin, rettore del seminario Maggiore di Padova e responsabile della commissione per i seminari della Conferenza episcopale del Triveneto.

Formazione presbiterale al passo con i tempi

«L’obiettivo che abbiamo chiaro davanti a noi è formare un prete che sia uomo di Dio e uomo di relazioni. Il vangelo, la preghiera, il silenzio e il raccoglimento che il seminario cerca di garantire servono al primo obiettivo. La vita comunitaria, le esperienze pastorali, il dialogo educativo cercano di raggiungere il secondo obiettivo».

A parlare è don Giampaolo Dianin, da otto anni rettore del seminario di Padova e responsabile della commissione per i seminari della Conferenza episcopale Triveneto. Che aggiunge: «Tutto questo chiede oggi una realistica attenzione alla maturazione umana; domanda capacità di discernere dentro i grandi cambiamenti sociali e pastorali; esige personalità flessibili perché tutto cambia in tempi molto veloci».

Com’è che i «grandi cambiamenti sociali e pastorali» hanno cambiato la formazione al presbiterato?
«Il calo numerico dei seminaristi ci sta chiedendo un costante ripensamento di quella risorsa educativa che è sempre stata la comunità. I percorsi formativi sono sempre più personalizzati nei tempi e nei passaggi. Dobbiamo anche prendere atto che i tempi delle scelte definitive si sono allungati, con la consapevolezza che anche la meta del presbiterato è una tappa di quella “formazione permanente” che non finirà mai».

Quali punti fermi fanno parte del cammino per “diventare” preti? Su cosa non si fanno sconti?
«Gli sconti si fanno per vendere un prodotto. Ma di fronte al popolo di Dio, di fronte alle sfide del nostro tempo e anche di fronte agli stessi seminaristi che stanno mettendo in gioco la loro vita non si possono fare sconti. Gli scandali che riempiono i giornali suggerirebbero una vigilanza forte sul mondo affettivo, ma non possiamo dimenticare la docilità e disponibilità, la capacità relazionale e di collaborazione, uno stile di vita evangelico».

È cresciuta l’età di chi inizia il cammino verso il sacerdozio: cosa porta questo aspetto alla vita comunitaria?
«Porta una grande ricchezza perché i giovani-adulti hanno alle spalle percorsi e scelte che sono frutto di ricerca e di esperienza. Ma non mancano le difficoltà legate alla fatica di formare chi ha già una vita impostata e ben strutturata».

Come è connessa la formazione “in” seminario con la vita “nel” mondo?
«Pensare che il seminario sia una fuga dal mondo vuol dire non conoscerlo. L’intreccio con la vita dei giovani loro coetanei è costante sia verso il seminario sia verso l’esterno. La vita di una comunità chiede anche tanti servizi concreti per evitare che si esca dal seminario pensando che tutto è sempre pronto e dovuto. Su un aspetto dovremmo crescere ed è l’apertura ai problemi del mondo e alle sfide quotidiane che ogni giovane si trova ad affrontare. I seminaristi non sono su questo molto diversi dai loro coetanei, spesso ripiegati sulle piccole cose della vita».

Centrale, non solo per i preti, è l’educazione relazionale. Com’è curata/accompagnata nel percorso formativo?
«Il tema affettivo-sessuale riguarda tutti e in ogni stagione della vita. Nel seminario di Padova l’attenzione a questo aspetto c’è ed è affrontata anche con l’aiuto delle scienze umane, con percorsi comunitari e personali. L’esperienza mi porta a dire che al momento del diaconato si sceglie il celibato, ma credo che la vera scelta avviene quando di fronte a un possibile legame affettivo il prete sceglie di rimanere fedele alla sua vocazione. Lo stesso vale per l’obbedienza che inizia quando ti viene chiesto qualcosa che non vorresti fare. Se in questi momenti un prete ha accanto a sé gli aiuti giusti e si fa aiutare, il risultato è la solidità di una vocazione».

Che preti forma, oggi, il seminario?
«Sarebbe più giusto dire “che prete cerca di formare”, perché il cammino formativo è sempre aperto e anche inevitabilmente imperfetto. Ci piacerebbe riuscire a formare personalità solide, radicate in Dio e nella disponibilità al dono di sé. Uomini capaci di essere nel mondo senza essere del mondo. Credenti capaci di discernere, di pensare e progettare».

E... per i momenti di crisi, come vengono attrezzati i futuri presbiteri?
«Le crisi ci sono per tutti, se le intendiamo come passaggi della vita che chiedono di ripensarsi in contesti nuovi e di fronte a nuove sfide. Credo che in quei momenti il sostegno di un compagno di viaggio e di una guida spirituale siano determinanti. Il resto è importantissimo, ma nella crisi tutto vacilla e l’aiuto di qualcuno fa la differenza».

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