Il rosario recitato in carcere. Un’Ave, Maria che “libera”. Tutti

Un caso unico? Non lo so... Certamente a Padova sì. Giovedì 12 maggio le porte della casa di reclusione – il Due Palazzi – si sono aperte per un gruppo di persone, tra cui il vescovo Claudio, che ha recitato il rosario. Come in tutte le parrocchie del mondo, a maggio. Solo che qui, tutto ha avuto inizio davanti alla sezione dei semiliberi, «l’anticamera della libertà» ha sottolineato il direttore, Ottavio Casarano, nel suo saluto. Per poi addentrarsi – oltre il muro di cinta “a suon” di Ave, Maria – fino al cuore della casa di reclusione: i detenuti.

Il rosario recitato in carcere. Un’Ave, Maria che “libera”. Tutti

Perché un rosario in carcere?
«Perché un rosario in carcere, proprio in questo scantinato della città, confinato ai bordi? – si è chiesto don Marco Pozza, cappellano della casa di reclusione, accogliendo il gruppo – Qui c’è la più alta densità abitativa maschile di tutta Padova. In questo posto di maschi, sereni o inferociti, solo due parole reggono, anche sotto l’urto di chi bestemmia: Ave, Maria. Una frase, una (ma)donna. Il suo volto l’ho visto appeso alle collanine che portano al collo, l’ho intravisto dentro la cella dei fratelli musulmani, l’ho veduto tatuato sui bicipiti di gente dall’aspetto bellico. Lo vedo spesso, quel volto, nei giorni di maggio, sulla corona che sgranocchiano: di nascosto in cella, a gruppetti, mentre sono soli, mentre stanno al passeggio».

Ha parlato così, don Marco, a quanti sono entrati al Due Palazzi per il rosario
C’erano alcuni parrocchiani di Campodarsego, il coordinamento Caritas vicariale di San Giorgio delle Pertiche, dei giovani dello stesso vicariato, alcuni preti “amici” del Due Palazzi, qualcuno della Fraternità di Comunione e liberazione...
C’erano anche gli “amici di Enrico”. In un certo senso... li ha mandati lui. Lui che, detenuto con problemi di salute, da agosto dello scorso anno vive nella canonica di Campodarsego. Lui che, attraverso il “suo” parroco, don Leopoldo Zanon, ha inviato questo messaggio ai partecipanti al rosario: «Avevo un sogno: che la città entrasse in carcere. Grazie per essere venuti in questa mia casa».

Prima di iniziare il rosario, il vescovo Claudio ha richiamato come, con la sua formula che si ripete, «ricordi quando si dice a qualcuno, più e più volte, “ti voglio bene”».
Allo stesso tempo, il rosario è l’occasione per rispecchiarsi in Maria: «che partorisce Gesù, che lo ascolta, che lo segue, che lo accompagna anche quando non capisce».
«Il volto di Maria – gli fa eco don Marco – è, qui in carcere, un incrocio di volti femminili: i volti delle spose, delle figlie, delle amanti. I volti delle mamme, che non mollano mai, che non li mollano mai. Le mamme che, da queste parti, somigliano tantissimo a Dio. C’è un proverbio ebraico che dice: “Dio ha creato la mamma perché non poteva essere dappertutto”. Se è vero, allora in questa terra cementificata questo proverbio è vita».

Oltre il muro
Con la candela in una mano e un libretto-guida nell’altra il gruppo, lasciata la sezione dei semiliberi, si è recato sotto la palazzina degli agenti. Tra il cancello del Due Palazzi, che ancora permette di vedere fuori, e il portone rosso che conduce lì «dove le pene sono definitive» ha spiegato il direttore del Due Palazzi.
Il rosario portava, come titolo, un versetto del vangelo di Luca: «Io ti dico: oggi con me sarai in Paradiso» (23,43). E si è dipanato lungo il muro di cinta del carcere, dove... non si può più vedere fuori. Lo sguardo, al massimo, può andare verso l’alto e intercettare gli agenti di ronda e, la sera del 12 maggio, un primo accenno di luna.
Lo sguardo va ai capannoni dove si lavora, va alla cucina, va al campo da calcio, va alla celle...
Abbiamo pregato a partire da alcuni incontri di Gesù: con Pietro, Zaccheo, Bartimeo, l’adultera, il buon ladrone. Abbiamo pregato con i vangeli e le testimonianze di chi il carcere, in modi diversi, lo vive “sulla propria pelle”: due detenuti, una sposa e madre, una volontaria, un parrocchiano di Campodarsego.
Abbiamo pregato con le voci dei detenuti. Dalle finestre delle celle hanno gridato la loro presenza.

Ecco che, tra le pieghe dell’Ave, Maria, sono riecheggiate parole come: libertà, ci siamo, Alleluia, grazie.
Quante volte è stato ripetuto questo “grazie”! E quanti applausi!

Tra i due palazzi
Cinque piani con le sezioni comuni del carcere, due piani con le sezioni “particolari” (l’alta sicurezza, ad esempio). Il gruppo, candela in mano e Ave, Maria sulle labbra, si è ritrovato tra i due palazzi: viene letto il brano dell’adultera, in cui Gesù le dice: «Neanche io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più».
L’Ave, Maria, che qui è recitata nella prima parte dal vescovo Claudio, è dedicata alle mamme dei detenuti. Che continuano ad applaudire, a gridare: grazie e alleluia. E noi, con il cuore in gola, abbiamo continuato a cantare e lasciato il “cuore” del Due Palazzi – i detenuti, nelle loro celle – per arrivare... al dialogo, in croce, tra Gesù e uno dei malfattori. «Ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». E Gesù: «Oggi sarai con me nel Paradiso».
A quest’ultima parola, giovedì scorso nella casa di reclusione di Padova... è seguito un grido da una delle celle: «Anch’io!».
«Quelle parole di Gesù, “Oggi sarai con me in Paradiso”, certamente avranno scioccato i discepoli – ha concluso il vescovo Claudio – E noi assomigliamo ai discepoli. In quel momento avranno capito che... avrebbero dovuto rimboccarsi le maniche. Che l’annuncio “oggi sarai con me in Paradiso” diventava compito loro. E che il Padre... si fidava».

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