Il sogno di papa Giovanni: una chiesa a servizio dell'uomo, non del fedele o del cattolico

Martedì 11 la chiesa ricorda san Giovanni XXIII, il papa che rivoluzionò la chiesa attraverso il Concilio Vaticano II. Un uomo santo, e santo per l'oggi, non perché papa, ma perché seppe mettere il vangelo sempre davanti a tutto. Dalle parole del pronipote e studioso Marco Roncalli un ritratto inedito del papa buono e dell'importanza fondamentale degli anni veneziani.

Il sogno di papa Giovanni: una chiesa a servizio dell'uomo, non del fedele o del cattolico

«È vero, il riconoscimento della "gloria degli altari" a diversi papi dell'ultimo secolo (tre santi e il beato Paolo VI, ndr), sta facendo passare l'idea che chi è stato eletto papa nel Novecento certamente andrà sugli altari. Ma ricordiamo anche che papa Francesco, canonizzando Giovanni XXIII, non ha ritenuto necessario nemmeno il miracolo sinora richiesto. Cosa ha fatto di lui un santo e direi un santo del nostro tempo, per il nostro tempo, è il suo modo di vivere distaccato completamente da se stesso e anteponendo il vangelo a tutto, preoccupato di nient'altro che del vangelo».

Marco Roncalli, giornalista e scrittore, nonché pronipote e grande studioso di papa Giovanni, tratteggia fin dapprincipio con pennellate vigorose il ritratto del "papa buono" che gli abbiamo chiesto alla vigilia della memoria liturgica del santo Angelo Giuseppe Roncalli.

Martedì prossimo, l'11 ottobre, la chiesa lo ricorderà per la terza volta da quando, nell'aprile 2014, papa Francesco lo ha voluto santo.
Una data simbolo, l'11 ottobre, che non corrisponde in alcun modo all'anagrafe di papa Giovanni (Sotto il Monte, 25 novembre 1881 - Roma, 3 giugno 1963), ma che però rappresenta una pietra miliare nella storia della chiesa: esattamente in quel giorno, correva l'anno 1962, si apriva a San Pietro il concilio Vaticano II e in quella sera, affacciatosi malvolentieri al balcone (sospinto dal segretario Loris Capovilla), un papa Roncalli commosso pronunciò il celeberrimo "discorso alla luna" davanti alla piazza gremita di fedeli.

«La sua è sempre stata una santità veramente autentica - riprende Marco Roncalli - perché tanto privata quanto pubblica, sostenuta dal desiderio di vivere sempre immerso nelle "cose di Dio", pur avendo i piedi "ben puntati in terra", consapevole di dover confrontarsi con i mutamenti sempre più veloci della società contemporanea».

Un atteggiamento chiarissimo nelle «migliaia e migliaia di pagine - diari, omeliari, epistolari, quaderni di appunti - pervenuteci e prima custodite con amore dal suo segretario. Già da giovane sacerdote, nel 1907, scriveva: "...sapersi annientare costantemente [...], mantener viva nel proprio petto la fiamma di un amore purissimo verso Dio [...]; dare tutto, sacrificarsi per il bene dei propri fratelli [...]: tutta la santità sta qui". E che divenuto papa annotava: "Poiché dappertutto mi chiamano Santo Padre [...] ebbene, devo e voglio esserlo per davvero..."».


Qual è il messaggio il santo Angelo Roncalli ha per l'uomo d'oggi, tanto per il fedele come per l'ateo?
«Il messaggio è quello di un vangelo che non cambia, ma che comincia finalmente a essere capito. Di una chiesa rinnovata che con il vangelo come unica bussola comprende ora, più che in passato, di essere chiamata a servire l'uomo, nei suoi bisogni spirituali e materiali, l'uomo in quanto tale e non solo i cattolici, a difendere come affermava Giovanni XXIII "anzitutto e dovunque i diritti della persona umana e non della chiesa cattolica". Tutto questo nella serenità, nella gioia cristiana, nella passione per la verità».



L'Angelo Roncalli papa è ricordato per il Concilio. Ma cosa si aspettava davvero come uomo e come sacerdote da un evento così unico?
«Giovanni XXIII, papa dalla fede salda come la roccia, amava la storia della chiesa, conosceva questo strumento, il Concilio, appunto, al quale la chiesa aveva fatto ricorso nel tempo, a confronto con nuovi problemi. Ispirata dallo Spirito, ecco la decisione tutta personale di indire il Vaticano II, ormai necessario per offrire alla chiesa un'opportunità di rinnovamento pastorale: nel segno ecumenico, con un maggior impegno per l'unità dei cristiani; nel segno sociale, per imparare a leggere i segni dei tempi e stabilire un dialogo con il mondo contemporaneo e le sue attese, lavorando per la pace e la giustizia - non dimentichiamo mai Pacem in terris, il vero testamento di papa Roncalli - e lavorando per consegnare lo stesso depositum fidei indicando esperienze di fede in grado di trovare linguaggi e forme in grado di renderlo attraente».

E pensare che il conclave l'aveva scelto come papa "di passaggio"…
«Non è una novità che l'esito nelle intenzioni di molti porporati presenti a quel conclave fosse quello di un "papa di transizione". Invece ne uscì, lo dico senza enfasi, il papa della Transizione, che segnò una cesura nella storia del papato del Novecento. Sì, un conclave che immaginava un papa anziano che avrebbe lasciato le scelte al successore e che invece a nemmeno tre mesi dall'elezione aveva davanti a sé non solo un programma robusto, concilio compreso, ma aveva già mostrato uno stile di paternità ben capito da milioni di persone».

A oltre cinquanta anni di distanza, la ricezione del Concilio si può dire coerente con il "sogno" di san Giovanni XXIII?
«Credo che papa Francesco, il primo papa a non aver partecipato al Vaticano II, stia finalmente dando pienezza all'attualizzazione della primavera conciliare. Per certi versi papa Bergoglio ci ricorda che la rivoluzione del Concilio, se si può dire così, è quella del ritorno alle origini del cristianesimo, ai valori che fanno della misericordia il leit motiv del suo pontificato. Però non si tratta solo di un atteggiamento pastorale, ma, credo, della sostanza del vangelo di Gesù».

Come incise l'esperienza di patriarca di Venezia in papa Giovanni?
«Gli anni veneziani sono importantissimi. Nella laguna può fare quello che ha desiderato tutta la vita: il pastore. Quando ci arriva è come se tornasse a casa. Alla comunità del Pianto c'era la sua stanza quando partiva col Simplon Orient express o in piroscafo verso Sofia, Atene, Istanbul... Aveva poi già un senso di appartenenza per questioni storico-geografiche: da bergamasco si sentiva figlio della terra di san Marco. A Venezia raffinò le sue capacità di mediazione, visse il confronto con la politica locale italiana, rilanciò l'importanza della conoscenza della Bibbia e rafforzò l'asse con Milano e l'allora arcivescovo Montini, con cui anche a Venezia ragionò sui destini futuri della chiesa...Amava la cattedra di san Marco. In casa Roncalli sono il primo a chiamarmi Marco proprio perché mio padre Privato, lagunare nel Battaglione San Marco, spesso la sera andava ad aiutare il patriarca in qualche piccolo servizio e sapeva quanto lo zio desiderasse questo nome per almeno uno dei pronipoti. Finalmente arrivai io e venni chiamato così. Giovanni XXIII lo ricordò a mio padre persino sul letto di morte...».

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Parole chiave: papa giovanni (6), giovanni XXIII (6), concilio (21)