L'"altro" nella Bibbia. Il nuovo saggio di don Marcello Milani rilegge anche il fenomeno migratorio in chiave biblica

La Bibbia è nata in un contesto multiculturale ed è il frutto dell'incontro di queste diverse culture. È questa la conspavolezza di base da cui parte il volume del docente emerito di Antico Testamento alla Facoltà teologica del Triveneto. «Parto dalla prospettiva delineata da Paolo: “Chi ama l’altro ha adempiuto la Legge” – spiega don Milani – Non parla di “prossimo” ma dell’“altro” per significare di volta in volta il vicino, il prossimo, il fratello, ogni uomo, che resta e deve restare sempre “diverso” da me». Un filo rosso che unisce le esperienze della vita dell'amicizia fino alla convivenza con lo straniero, l'altro per eccellenza-. 

L'"altro" nella Bibbia. Il nuovo saggio di don Marcello Milani rilegge anche il fenomeno migratorio in chiave biblica

La collana editoriale Sophia della Facoltà teologica del Triveneto si è arricchita in queste settimane di un nuovo volume: L’incontro con «l’altro» nella Bibbia. Una lettura in prospettiva interculturale e interreligiosa (pp 344, euro 22,00). L’autore, don Marcello Milani, docente emerito di Antico Testamento alla stessa Facoltà, sviluppa in questo lavoro i temi affrontati in un ciclo di lezioni presso l’Istituto superiore di scienze religiose di Padova.

Punto di partenza della sua riflessione è la consapevolezza che la bibbia nasce da un mondo multiculturale e il suo prodotto è interculturale. Frutto, cioè, di sintesi, mediazioni e anche compromessi che la rendono varia e sempre attuale, con pagine e prospettive molto diverse tra loro.

Cosa ci dice la bibbia a proposito dell’“altro”?

«Che ha domande stimolanti e provocatorie e un patrimonio da ricevere e offrire. Le diversità devono interagire per condividere, allora diventano una ricchezza per tutti. Per realizzare ciò occorre un’identità ponte che tracci la via verso la comunicazione: “l’essere con”. Per arrivare all’altro dobbiamo prima toccare la sua anima, amare la sua storia, la sua vita e i suoi desideri».

Chi sono gli “altri” della bibbia?

«Parto dalla prospettiva delineata da Paolo: “Chi ama l’altro ha adempiuto la Legge”. Non parla di “prossimo” ma dell’“altro” per significare di volta in volta il vicino, il prossimo, il fratello, ogni uomo, che resta e deve restare sempre “diverso” da me. Al riguardo la bibbia delinea le relazioni umane come incerte e ambigue, il cui risultato non è scontato. Ogni incontro comporta la necessità di essere purificato, a iniziare dal rapporto uomo-donna che tende all’unione ma è anche conflittuale, e da quello tra fratelli. Ma la famiglia è anche luogo di riconciliazione e scoperta del proprio compito e servizio in seno al gruppo. Partendo dalla creazione e da Genesi 1-11 ho cercato di considerare le relazioni fondamentali: l’amicizia, l’incontro con lo straniero, che è il diverso per eccellenza, e la cittadinanza, ovvero un incontro dinamico delle diversità, dove la costruzione di una società dipende dalla convergenza e armonia di tante funzioni che si ritrovano attorno a una legge e a ideali condivisi. Così nella chiesa, formata da “concittadini dei santi”, non c’è spazio per dei sudditi ma per collaboratori responsabili e consapevoli dei propri diritti e doveri, e per tanti ministeri da curare e formare».

Quali idee ci dà la bibbia per rendere l’incontro meno conflittuale di come spesso è ora?

«La prospettiva interculturale mette in risalto la possibilità di incontro, partendo da quelle che papa Francesco chiama frontiere o periferie esistenziali, culturali o spirituali, con cui è necessario misurarsi per verificare un possibile esercizio di prossimità. Non dimentichiamo le tensioni ma nemmeno ciò che possiamo valorizzare. Si tratta di colmare le distanze e non rassegnarci allo “scontro di civiltà”, fino a tentare un dialogo anche con il nemico. La bibbia è realista. Ci ricorda che il primo incontro tra fratelli fu funestato da un fratricidio. Che Giuseppe e i fratelli si ritroveranno solo dopo un lungo percorso. In questo ambito nasce un concetto diverso di unità. Non un solo popolo, un solo linguaggio e un solo potere, che era la proposta di Babele, ma il quadro della Pentecoste, che esprime unità: tutti odono gli apostoli parlare nella loro lingua – e molteplicità insieme – le tante lingue di fuoco, i molti popoli. È una chiesa “cattolica” che impara a parlare più lingue, s’incarna in tante culture e le pone in relazione tra loro. L’incontro con l’altro rifiuta sia una multiculturalità apparentemente “tollerante” ma che rischia di creare ghetti e isole non comunicanti, sia un’assimilazione in cui un’unica cultura domini la scena soffocando il resto. Non unità mortificante, ma molteplicità comunicativa, che al “conflitto di civiltà” opponga una cultura dell’ascolto e una fede dialogante alla ricerca della Verità che resta sempre più alta di noi». 

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