L'incontro del vescovo Claudio con i missionari di ritorno a Padova

«Le vostre storie mi sono piaciute: dobbiamo essere missionari dentro, tutti quanti. Le concorrenze tra lo stare in Italia e andare all’estero sono ormai superate».
Queste le parole del vescovo Claudio, giovedì 14 luglio al termine del suo primo incontro estivo in seminario con i missionari di ogni congregazione che trascorrono l’estate a Padova. All’incontro, ormai una tradizione per il centro missionario diocesano, prendono parte ogni anno alcune decine dei settecento e oltre missionari partiti da Padova per ogni angolo del mondo.

L'incontro del vescovo Claudio con i missionari di ritorno a Padova

I primi a parlare, a fianco del passeggino con il loro quinto e ultimo figlio, sono stati Mattia Rossi e Chiara Dal Ferro, coppia di giovani neocatecumenali della parrocchia di San Pio X a Padova, in Finlandia da alcuni mesi per una missione ad gentes.
«Nella nostra zona i cattolici sono una ventina – ha raccontato Mattia – in tutto il paese i cattolici sono 11 mila, quasi tutti immigrati. Ma i finlandesi sono soli, vengono spinti dal governo a uscire di casa appena compiuti i 17 anni, così le famiglie si spaccano, i giovani vivono insieme, si ubriacano il fine settimana, fanno figli e poi si lasciano. Una volta al mese usciamo in piazza con i nostri figli, recitiamo i salmi, dialoghiamo. A volte può sembrare che non serva a nulla, ma il Signore opera anche così».

Tra le voci anche quella di don Elia Ferro, responsabile della pastorale dei migranti, per tre lustri a servizio degli italiani all’estero
«Gli italiani hanno esportato all’estero il loro modo di vivere, ma anche il loro modo di credere. Ora però è la missione che viene a noi: tanti stranieri portano la loro maniera di vivere e di credere. Ci provocano e ci chiedono di rendere conto della nostra fede».
Padre Gianni Bordignon, scalabriniano di Rossano Veneto, di stanza a Parigi dopo decenni con i minatori del Belgio, ha parlato della reazione della Francia alla minaccia terroristica: poche ore dopo i fondamentalisti avrebbero colpito Nizza.
Molti dei religiosi hanno osservato il fenomeno del calo delle vocazioni in Europa e la crescita esponenziale delle chiamate nei territori da loro raggiunti: «Al mio arrivo ad Haiti – ha raccontato suor Mariangela Fogagnolo delle Figlie di Maria Ausiliatrice – eravamo 40 missionarie. Ora siamo rimaste in tre, ma ci sono più di cento suore locali: apriremo la nostra sedicesima opera al confine tra Haiti e la Repubblica Domenicana, dove vengono ricacciati i migranti. Lì assistiamo a scene peggiori di quelle che si vedono in Siria».
Quando la fede cresce tra i popoli è inarrestabile: «Dopo che il governo ha imposto la laicità in Burkina Faso, e non si poteva nemmeno celebrare il Natale – ha ricordato padre Giancarlo Pirazzo dei padri Bianchi – gli studenti andavano a scuola con il rosario attorno al collo, dicendo che, se volevano toglierglielo, dovevano tagliare loro la testa. È stata per noi una grande consolazione. Sono tanti i musulmani o chi arriva da religioni tradizionali che chiedono il battesimo, soprattutto i giovani dalle medie alla maturità».
Suor Faustina Rosso, originaria di Bertipaglia, delle Figlie di San Giuseppe, è in missione da 35 anni, otto dei quali in Nigeria. Proprio lì, terra da dove molti emigrano a causa delle violenze di Boko Haram e dove la crisi economica si fa sempre più sentire, le religiose si rendono protagoniste di attività caritative a favore delle famiglie.
All’incontro anche la voce di un laico, Giovanni Del Frate di Medici con l’Africa Cuamm: «Sono da poco rientrato dalla Sierra Leone, dove il Cuamm si è preso carico dell’ospedale più grande di Freetown, dove però muoiono ancora due o tre neonati al giorno e due o tre mamme a settimana». Del Frate ripartirà a settembre per l’Angola, colpita da più di un anno da una terribile siccità.
«Lunedì sarei dovuto partire per il Sud Sudan – ha comunicato il comboniano Claudio Bozza – ma il ministro provinciale mi ha chiesto di restare a casa, dato il clima di violenza, e di pregare perché prevalga la pace».

Tra difficoltà e successi, la missione è prima di tutto un modo di vivere

«Sono partita 43 anni fa – ha chiosato suor Marcellinda Caregnato, delle Salesie – ma mi sento missionaria fin dal battesimo. Quando sono entrata in convento, 53 anni fa, volevo costruire il “Regno di Dio”, anche se non sapevo cosa fosse. Ora ho capito che il “Regno” c’è già, a noi spetta il compito di non allontanarlo. La missione non è divorare chilometri, ma tenere aperta e viva questa ferita che Gesù ha sanato. Il missionario è chi ama col cuore».

La missione reinventa anche l’essere chiesa, nella perfetta aderenza al vangelo
«Per noi in Mozambico la chiesa è quella dei nuovi ministeri – ha raccontato Elio Greselin, dehoniano e vescovo emerito di Lichinga – abbiamo sempre lavorato per questo con la formazione».

Dopo aver ascoltato queste e tante altre storie, il vescovo Claudio ha voluto citare il vangelo della domenica precedente
«Rallegratevi perché i vostri nomi sono scritti in cielo, non perché un vescovo vi dice grazie, in modo che possiate continuare il vostro servizio».

«Nei nostri territori rischiamo di tenere in piedi una struttura molto cattolica ma poco credente: che ci troviamo ad Helsinki o a Padova, dobbiamo costruire comunità, non la nostra, ma quella di Gesù. Per questo, le vostre esperienze possono esserci di insegnamento: come Ruth andava a spigolare, così noi raccogliamo il frutto del vostro lavoro».

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