Libera, sacerdoti (cinque padovani) e religiosi in campo per la legalità

Una trentina di sacerdoti e religiosi italiani che si sono incontrati nelle iniziative di Libera, l'associazione contro le mafie fondata da don Luigi Ciotti, hanno firmato nel monastero di San Magno a Fondi (Latina) una carta per dire questo è il momento di gesti concreti, forti, da parte delle comunità cristiane per sostenere una cultura e uno stile di legalità diffusa. «Anche in un panorama desolante il vangelo si fa sentire – spiega don Giorgio De Checchi – Questo è il momento di testimoniare senza la paura di ammettere che come chiesa abbiamo le nostre responsabilità».

Libera, sacerdoti (cinque padovani) e religiosi in campo per la legalità

C’è l’impegno «a non tacere dinanzi alle ingiustizie e a ogni tipo di illegalità», a «camminare a fianco delle vittime innocenti delle mafie», a «contrastare ogni forma di corruzione perché cancro della civiltà e della democrazia». E poi c’è quello «a denunciare ogni tipo di connivenza anche istituzionale che favorisce il degrado ambientale agevolando gli affari delle ecomafie», e «a vivere nella libertà ogni tipo di rapporto con la politica» per «non cadere nelle maglie di facili strumentalizzazioni».

Ma questi sono solo alcuni dei passaggi della Carta di responsabilità e impegno (nota anche come “carta di Fondi”) che lo scorso 8 settembre una trentina di sacerdoti, religiosi e religiose che si sono incontrati nell’esperienza di Libera – l’associazione contro le mafie fondata da don Luigi Ciotti – hanno siglato nel monastero di San Magno, nel cuore del Lazio, a pochi chilometri da Gaeta.

Un documento che rappresenta anzitutto «un profondo richiamo al vangelo», commenta don Giorgio De Checchi, parroco nell’unità pastorale di Piove di Sacco e vicario foraneo, estensore della carta in quanto membro della segretaria nazionale di Libera. Se da un lato infatti c’è la certezza che «l’esigenza chiara di giustizia e di cura per il bene comune sia un aspetto proprio nel dna del cristiano», dall’altro c’è però la coscienza che «questo è il momento di mettere in campo gesti forti, di testimoniare uno stile di vita personale e comunitario nel solco della legalità», aggiunge don Giorgio.

L’analisi della situazione sociale e politica italiana, nata in alcuni anni di cammino, ha permesso a questi sacerdoti e religiosi di non fermarsi alla constatazione di un panorama a tratti desolante, in cui la corruzione e i reati contro l’ambiente – giusto per fare due esempi – sembrano non poter essere contrastati.

«Anche in questo contesto il vangelo ci può lanciare dei messaggi che sta a noi cogliere – sottolinea il vicario – Senza paura di ammettere che se la realtà è questa è anche perché troppo a lungo in molti hanno taciuto e la chiesa stessa è parte della situazione che abbiamo davanti agli occhi».

Una “Carta” allora per dire che il tempo della doppia morale – quella delle prediche e degli intenti, spesso molto diversa da quella dell’agire – è finito. Questa è la fase storica in cui occorre testimoniare i valori della legalità e della coerenza nella vita di tutti i giorni. E soprattutto non da soli.

«Si tratta di un cammino che attende tutte le nostre comunità – spiega don Giorgio – a partire dagli aspetti più semplici, per esempio dal rispetto delle leggi quando organizziamo una sagra o compiamo degli interventi sulle nostre strutture. E poi abbiamo un grande bisogno di affrontare i temi cardine della vita, come il lavoro, le relazioni, ma anche la finanza e l’urbanistica».

La comunità, nella visione di chiesa emersa a Fondi, risulta parte in causa nella costruzione di un tessuto sociale più coeso e più giusto. Il che non significa puntare sul presenzialismo, sull’occupazione di spazi di potere. «Tutt’altro: la parola di papa Francesco, convinto che il tempo sia superiore allo spazio (Evangelii gaudium), è di profonda ispirazione – conclude il sacerdote – Possiamo dire la nostra attraverso gesti credibili, portando alla luce tutte le dinamiche opache che proliferano sul territorio, senza per questo cercare rapporti privilegiati o scorciatoie presso la politica. Il vangelo ci ha chiamati a una prospettiva liberante che ancora siamo lontani dall’aver compreso nella sua totalità: costruire legami sociali in nome di uno stile trasparente e con il coraggio di denunciare è parte integrante della scoperta della liberazione che ci attende».

Oltre a don Giorgio, il nutrito manipolo di sacerdoti padovani che hanno firmato la “carta di Fondi” è formato anche da don Gabriele Pipinato, vicario episcopale per le risorse economiche, dal direttore di Caritas Padova don Luca Facco, da don Marco Galletti, parroco nell’unità pastorale all’Arcella e delegato per la pastorale cittadina, e da don Giuseppe Gobbo, sacerdote vicentino fondatore della cooperativa Radicà che ha sede a Calvene. È possibile leggere e firmare a propria volta il documento su www.libera.it

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