Medjugorie, i divieti e l’attesa

Lo scorso 10 luglio a Cittadella, alcune associazioni del territorio hanno organizzato in ambienti del comune un incontro con protagonista la veggente di Medjugorie Marija Pavlovic. In quell'occasione la diocesi di Padova ha ribadito quanto la congregazione per la Dottrina della fede ha stabilito al momento sulle apparizioni della cittadina balcanica. Nei giorni scorsi è arrivata una lunga lettera in redazione sul tema, ecco la risposta del direttore.

Medjugorie, i divieti e l’attesa

Carissimo direttore,
lo scorso 10 luglio a Cittadella è stato vietato dalla diocesi di Padova alla veggente Marija Pavlovic di pregare e parlare delle apparizioni della Madonna a Medjugorie. Per aver fatto questo la diocesi con il vescovo deve avere tanta paura di un avvenimento che invece di porta a pensare a quante cose sono successe in questi 34 anni. Folle enormi di gente che è andata e continua ad andare, con grande entusiasmo in quelli che tornano avendo spesso ritrovato una bella fede. Ma la chiesa padovana si rende conto di quanto male fa a vietare questi incontri per chi ci crede, per chi ha ricevuto tanto e anche di miracoloso? Certo, c’è da controllare, c’è da esaminare, c’è da andare a fondo su quello che fanno i veggenti, perché a volte tutte le cose che organizzano danno da pensare, ma domandiamoci anche dove sta andando e quali scelte fa il mondo d’oggi.

lettera firmata

Mi sono permesso, e spero l’autore non me ne voglia, di sintetizzare il contenuto della sua lunga lettera.
Una precisazione, innanzitutto: la diocesi non ha vietato – e come avrebbe potuto, oltretutto? – l’incontro. Ha invece ricordato quanto non da oggi segnala la congregazione per la Dottrina della fede, ovvero che «sulla base delle ricerche finora compiute, non è possibile affermare che si tratti di apparizioni o di rivelazioni soprannaturali». Il che non significa che sia vietato andare a Medjugorie, ma certo non è possibile partecipare a cuor leggero a incontri «nei quali verrebbe data per scontata la loro attendibilità».

Detto questo, è un dato di fatto che migliaia di persone si recano ogni anno in pellegrinaggio a Medjugorie. È certo un’esperienza profonda, coinvolgente, che immerge in un clima di preghiera, tocca le corde emotive. Non tenere conto di questo fenomeno, derubricarlo a semplice suggestione popolare, sarebbe certo sbagliato. Al tempo stesso, proprio per evitare pericolosi abusi e strumentalizzazioni, la chiesa ha stabilito rigorose procedure in ordine all’accertamento di miracoli o apparizioni che valgono anche in questo caso.

A inizio giugno, tornando dal suo viaggio a Sarajevo, papa Francesco ha annunciato di avere ricevuto il lavoro della commissione che in questi anni ha studiato il dossier su Medjugorie e ha fatto intendere che presto vi sarà una decisione in merito. Attendere, con prudenza e con fiducia, a me pare sia – oggi più che mai – l’atteggiamento migliore.

Al tempo stesso papa Francesco ci ha offerto in una delle sue recenti omelie a Santa Marta una preziosa chiave di lettura che merita ricordare a prescindere, perché non tocca tanto l’autenticità delle apparizioni ma la qualità profonda della nostra fede. Parlando dell’identità cristiana, il papa mette in luce due pericoli. C’è innanzitutto il pericolo della mondanità, quella che ci spinge ad «allargare tanto la coscienza che lì c’entra tutto», e per questa strada anche il sale perde sapore, ci si dice cristiani a parole ma non si sa più dare testimonianza concreta di Cristo. Francesco mette in guardia però anche da un altro pericolo: «ci sono quelli che sempre hanno bisogno di novità dell’identità cristiana e cercano: “Ma dove sono i veggenti che ci dicono oggi la lettera che la Madonna manderà alle 4 del pomeriggio?” Per esempio, no? E vivono di questo. Questa non è identità cristiana. L’ultima parola di Dio si chiama Gesù e niente di più».

Vere o meno che siano, insomma, non si vive di apparizioni. La Vergine, i santi sono per ogni credente esempio e strada verso Gesù. Lo stesso vale per i santuari, che sono certamente spazio privilegiato di preghiera, luogo di ristoro e “ricarica” spirituale da cui però poi ripartire nella nostra testimonianza di una fede con i piedi ben piantati nella vita quotidiana in parrocchia, in famiglia, sul posto di lavoro. Se invece da tappe li trasformiamo in meta, in punto d’arrivo del cammino; se solo lì ci sentiamo davvero “vivi nella fede”, “autentici cristiani”, siamo fuori strada. Pensiamoci, e aspettiamo.

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