Meno fedeli in chiesa, anche tra gli anziani

I dati resi noti dall’Istat sulla pratica religiosa in Italia mostrano un calo costante di coloro che frequentano i luoghi di culto. Dal 33,4 per cento del 2006, che significa una persona su tre, si è passati al 29 per cento, mentre chi dichiarava di non frequentare è salito dal 17,2 al 21,4, una persona su 5.

Meno fedeli in chiesa, anche tra gli anziani

Cala il numero delle persone che frequentano la chiesa e, in particolare, sono sempre meno quelle che hanno superato i 55 anni.

Un’apparente sorpresa, quest’ultima, ma il sociologo Alessandro Castegnaro, presidente dell’Osservatorio socio-religioso del Triveneto, non si dice stupito di fronte a questa fotografia che emerge dai dati resi noti nei giorni scorsi dall’Istituto di statistica (Istat).
«Quella fotografata dall’Istat è una tendenza di fondo e i dati non stupiscono. Dirò di più: le rilevazioni Istat sovrastimano i dati della frequenza perché, in realtà, sappiamo che tra quanto dichiarato e quanto praticato c’è uno scarto del dieci per cento. La tendenza non mi colpisce, anzi era ampiamente attesa, perché le persone sono sempre meno interessate alla mediazione ecclesiastica e pensano di poterne fare a meno. La pratica religiosa oggi è sempre meno un indicatore di espressione e sempre più un indicatore di appartenenza: se mi riconosco nella mia chiesa ci vado, se sono un cattolico critico o privo di stimoli non vado in chiesa».

Il rapporto con la propria chiesa è critico?
«Il rapporto con la chiesa è sempre più difficile. Questo dato ci informa del continuo calo di quanti frequentano i luoghi di culto, mentre si sperava che la tendenza fosse finita o almeno stabilizzata. Questo invece non è successo, nonostante esista un “effetto Francesco” sulla pratica religiosa. Ma chi pensa che il papa risolve, sbaglia».

Cosa cambiare per contrastare il fenomeno?
«Serve una “chiesa a portata di braccio”. I rapporti che le parrocchie concretamente costruiscono con le persone possono incidere sui livelli di partecipazione, di appartenenza. È necessario che la relazione tra il prete e le persone si costruisca fuori da qualsiasi obbligo. Il precetto, in questo caso quello di frequentare la messa, oggi è controproducente. Il cambiamento indotto da una “chiesa a portata di braccio” riduce la resistenza, ma se non si costruiscono relazioni positive il calo continuerà».

Perché il fenomeno coinvolge le categorie anziane?
«La deistituzionalizzazione del rapporto è un fenomeno serio, di fondo, e interessa le categorie più avanzate nell’età perché siamo di fronte a un fenomeno strutturale la cui onda lunga è arrivata anche agli anziani. Ripeto: ci servono relazioni positive che offrano proposte concrete al bisogno di spiritualità. Nella fase tra i 55 e i 59 anni molti – in particolare donne – riprendono un cammino di ricerca spirituale, ma non c’è una pastorale degli adulti e l’offerta non è adeguata alla domanda. Abbiamo proposte per ragazzini e anziani, ma la ricerca spirituale libera non trova risposta».

C’è però anche una fascia d’età ben salda che, al contrario, trova risposte. Perché?
«La stabilità rilevata dai 30 anni, ci dice della tenuta della partecipazione fino a 45 anni. In particolare le donne con figli in età di iniziazione cristiana ristabiliscono relazioni con il parroco e la comunità, ma poi dopo la cresima torniamo ad assistere a un calo della partecipazione».

L'indagine 

I dati resi noti dall’Istat sulla pratica religiosa in Italia mostrano un calo costante di coloro che frequentano i luoghi di culto. Dal 33,4 per cento del 2006, che significa una persona su tre, si è passati al 29 per cento, mentre chi dichiarava di non frequentare è salito dal 17,2 al 21,4, una persona su 5. Il campione considera anche i bambini tra i 6 e i 13 anni che oggi “valgono” il 51,9 per cento, per cui i dati andrebbero letti in controluce.
La fascia d’età in cui si frequenta meno va dai 20 ai 24 anni, ma il dato più significativo è quello riguardante il campione tra i 55 e i 59 anni, che in dieci anni ha vissuto un calo del 30 per cento, e quello tra i 60-64 anni che, sempre dal 2006, è sceso del 25 per cento. Chi ha disertato meno la chiesa ha un’età compresa tra i 35 e i 44 anni: qui il dato è passato dal 23,8 al 22,6 per cento. Anche gli ultra settantacinquenni hanno vissuto un calo di 5 punti (dal 43,8 al 38,7 per cento), ma hanno mantenuto fermo il dato dei non frequentanti: 22,9 per cento.
Sono soprattutto le donne, con il 34,3 per cento, a frequentare un luogo di culto almeno una volta alla settimana, ma anche loro hanno vissuto un calo di 6 punti (erano il 40,5 per cento), mentre i maschi sono scesi di circa 2,5 punti percentuali passando dal 25,7 al 23,3.
Per quanto riguarda le professioni, casalinghe e pensionati sono i più assidui con, rispettivamente, il 42,2 e il 37,9 per cento di frequentazione, mentre chi lavora, o cerca lavoro, pratica decisamente meno con un 20,5 per cento, dato superato dal 24 per cento di chi afferma di non farlo mai.
Per quanto riguarda il titolo di studio, le percentuali dei frequentanti si equivalgono tra coloro che possiedono la licenza media (25,1 per cento), un diploma (23,7) e una laurea (26,7) mentre il dato sale al 41,7 per cento per coloro che possiedono la licenza elementare o nessun titolo di studio.
Il Veneto, con il 32,4 per cento, è la quinta regione in cui la chiesa viene vissuta maggiormente, dopo Sicilia, Campania, Calabria e Puglia. È di gran lunga la prima del Nord. La Liguria (18,6 per cento) è la regione in cui si pratica meno.

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