Mons. Luigi Sartori. L'omaggio della Facoltà teologica a dieci anni dalla morte

Giovedì 8 giugno alla Facoltà teologica del Triveneto, l'atto accademico in onore dell'insigne teologo padovano. Viene presentato lo studio di Antonio Ricupero che per la prima volta legge in modo complessivo l’opera del sacerdote padovano scomparso dieci anni fa cogliendone, pur nella molteplicità degli interessi e delle pubblicazioni, i tratti unitari. Un invito a recuperare il suo messaggio di dialogo tra fede e cultura.

Mons. Luigi Sartori. L'omaggio della Facoltà teologica a dieci anni dalla morte

Nel decennale della scomparsa del teologo padovano mons. Luigi Sartori (2 maggio 2007), il suo pensiero è stato descritto per la prima volta con uno sguardo complessivo e una prospettiva di sintesi da un lavoro di ricerca dottorale sostenuto dalla Facoltà teologica del Triveneto e svolto da Antonio Ricupero.

La fede lievito della storia. Il senso dell’itinerario teologico di Luigi Sartori (Messaggero, pp 304, euro 25,00) è il titolo del volume pubblicato nella collana editoriale Sophia della facoltà, che sarà presentato giovedì 8 giugno nella sede di via del Seminario a Padova nell’atto accademico in memoria dell’insigne presbitero. Il programma, a partire dalle ore 16, prevede l’introduzione e il saluto del preside della facoltà, Roberto Tommasi, cui faranno seguito gli interventi di due teologi: il cattolico Piero Coda, preside dell’istituto universitario Sophia di Firenze, e Paolo Ricca, docente emerito alla Facoltà valdese di Roma. Prenderà poi la parola l’autore del volume, Antonio Ricupero, che abbiamo intervistato per l’occasione.

Quali sono state le difficoltà che ha dovuto affrontare nella sua ricerca?

«Sartori non è un autore facile da affrontare perché tutto quello che ha scritto, ed è molto, è disperso in innumerevoli rivoli e non tutto il materiale migliore è facilmente reperibile. Ha scritto più di seicento pezzi, ma sospetto che molti articoli, scritti per riviste non specializzate, restino ancora da rintracciare. E sono pezzi non insignificanti, perché Sartori non ha mai avuto l’idea di una teologia di serie A e di serie B: al cambiare degli interlocutori è il linguaggio che deve cambiare, non i contenuti. Una delle sue espressioni costanti era che tutti hanno diritto a un cibo nutriente, a partecipare al banchetto evangelico».

Con che obiettivo ha scritto il suo libro?

«Il mio volume vuole riportare i riflettori su mons. Sartori fornendo una guida alla lettura e nello stesso tempo un’interpretazione del suo lavoro e della sua opera teologica scritta e testimoniale. Perché Sartori lavora su due registri interagenti: da una parte scrive, dall’altra fa. Perché la vera teologia è testimoniale. Ricordo che quando l’ho conosciuto, per sostenere l’esame di ecclesiologia, mi sono scusato accennando ai miei studi di ingegneria e dicendo che non ero un teologo. Lui ha replicato: lei è teologo, nel momento in cui si ferma a riflettere sulla fede. Se la vera teologia è testimoniale, la vera fede deve trovare la strada per dirsi, un dirsi che sarà sempre perfettibile, ma essenziale, perché se non riusciamo a dire significa che non siamo ancora completamente formati e maturi nella fede».

Qual è la sua chiave di lettura dell’opera di mons. Sartori?

«Quello che di Sartori mi pare di aver colto è l’unità di pensiero, benché fosse ritenuto un dispersivo; i suoi scritti, pur dispersi, sono come foglie che spuntano da un albero comune. D’altra parte Sartori stesso sosteneva che i grandi uomini, quelli che hanno dato qualcosa all’umanità, sono maestri di un’idea sola attorno alla quale hanno studiato, elaborato, prodotto per tutta la vita. Applicando a lui questa teoria emerge la centralità della sua idea d’azione storica della fede. Nel dialogo tra fede e storia, tra fede e cultura c’è proprio l’unità di Sartori e la sua attualità: l’uomo oggi chiede unità, ne ha il desiderio e il bisogno anche quando si disperde continuamente».

In che campi in particolare mons. Sartori ha offerto la sua testimonianza?

«Ha dato testimonianza nel mondo della teologia, fin negli anni Cinquanta con la fondazione della rivista Studia patavina. Secondo le indicazioni del vescovo Bortignon, che Sartori ha accolto, fatte sue e messe in pratica, ha cercato di far ripartire il dialogo tra i due “studia”, quello dell’università e quello del seminario. Poi ha preso parte alla costituzione dell’Associazione dei teologi italiani e del San Bernardino di Venezia. Quindi si è impegnato ad alimentare il dialogo con tutte le persone interessate alla fede, ed ecco Credere oggi. Infine ha alimentato il dialogo a tutti i livelli con i “semplici” della fede, con gli articoli scritti per il Messaggero di sant’Antonio e per Famiglia cristiana, con l’interesse per il pellegrinaggio e le altre forme di religiosità popolare. Sartori riteneva che “cattolicità” fosse la stima gioiosa per tutti i valori, per tutto ciò che è bello e prezioso».

Si può periodicizzare il cammino di Sartori?

«Io ho scelto di ordinare le sue opere in tre grandi capitoli: la produzione preconciliare, quella che va dal concilio al 1992, data di uscita dell’antologia Per una teologia in Italia, e poi il periodo finale, nel quale, nonostante fosse anziano e di salute precaria, ho rintracciato con l’aiuto di mons. Roberto Tura un centinaio di testi».

Cosa contraddistingue il primo Sartori ?

«Da subito traspaiono gli interessi del Sartori maturo. Nella sua tesi di dottorato su Blondel e il cristianesimo inizia a dialogare sul rapporto tra fede e cultura. Poi approfondisce la visione cristiana della storia, ma scrive anche di psicologia, teologia del laicato, antropologia cristiana. Emerge l’interesse per l’uomo e per l’uomo toccato dalla fede. Il dialogo tra fede e cultura e l’aprirsi al mondo ecumenico era già un tratto del Sartori preconciliare, che non si riteneva uomo da rivoluzioni, ma da evoluzione, da continuità storica».

Poi è arrivato il concilio...

«Qualcuno ha detto che Sartori è stato cambiato dal concilio: è una asserzione che non condivido. Prima del concilio già aveva delle idee conciliari, che nell’assise mondiale dei vescovi hanno ottenuto un autentico imprimatur. Don Luigi ha trovato nel concilio la via per esprimere le idee che già sentiva. Non pensava tutto quello che il concilio ha detto, ma nel concilio ha trovato l’avallo alle sue convinzioni. Le opere successive sono un’esegesi ricca di ciò che nel concilio è emerso. Insisteva molto sul fatto che il concilio era la riproposizione integrale di tutta la verità cristiana: un prendere il grande tesoro della tradizione e riconfigurarlo per un’umanità cambiata».

E l’ultimo periodo?

«Nell’ultimo periodo Sartori segue tutti i suoi interessi, che sono stati sempre ampi: era ecumenico verso i soggetti, le persone, ma anche verso gli oggetti, i contenuti, le discipline. Era una persona entusiasta e interessata un po’ a tutto quello che era umano, dalla psicologia alla storia alla musica: sapeva suonare vari strumenti. Si lamentava di non riuscire a seguire le discipline scientifico-matematiche: avrebbe voluto sapere di più, per capire di più. Era attirato dall’astrofisica perché si pone domande universali, come dovrebbe fare la filosofia e la teologia, le quali spesso invece sembrano aver perso la visione del tutto. Sartori ha cercato anche di configurare quello che sarà la teologia dogmatica di domani, consegnando il testimone ai giovani teologi».

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