Padovani a Bologna. C'è il convegno nazionale di pastorale giovanile

Alcuni dei giovani della delegazione della diocesi di Padova al 15° convegno nazionale di pastorale giovanile a Bologna dal 20 al 23 febbraio, hanno condiviso con la Difesa le loro impressioni a caldo durante i tre giorni di studio concentrati intorno al tema "La cura e l'attesa".

Padovani a Bologna. C'è il convegno nazionale di pastorale giovanile

Come deve essere un “buon educatore”? È la domanda con cui dal 20 al 23 febbraio, a Bologna, si sono confrontati 700 incaricati di pastorale giovanile, rappresentanti di movimenti, associazioni e congregazioni religiose provenienti da oltre 150 diocesi italiane.
“La cura e l’attesa” è stato il titolo del 15° convegno nazionale organizzato dal servizio per la pastorale giovanile della Cei, a cui ha preso parte anche una nutrita delegazione padovana che, durante i lavori, ha voluto condividere l’esperienza “a caldo” con la Difesa del popolo.

La vocazione di accompagnare i giovani
È la prima volta che partecipo a un convegno nazionale di pastorale giovanile e scrivo dopo la prima mattinata di relazioni. Belle, stimolanti, ricche di spunti sulla figura dell’educatore. Sono a Bologna, ma il pensiero torna alla nostra Padova, alle nostre comunità, al sinodo. Penso che uno dei nodi della pastorale dei giovani stia proprio qui: sulla vocazione di accompagnare i giovani, sulla qualità degli educatori, sul bisogno che abbiamo di queste figure per i cammini degli adolescenti e dei giovani. Mentre i relatori si alternano, mi guardo attorno: vedo i circa 700 partecipanti che provengono da tutte le diocesi italiane. Non solo preti e consacrati, ma anche diversi giovani. Penso a quanta ricchezza c’è nella storia di ognuno, quanto sentirei altrettanto ricco e proficuo un dialogo e un confronto tra buone pratiche, ma anche fatiche della pastorale con i giovani. Un relatore in fondo lo puoi ascoltare anche in streaming... Un giovane di una diocesi del Sud o un responsabile di una diocesi del Centro li puoi solo ascoltare “face to face”. E così anche una pausa caffè o quattro chiacchiere prima di addormentarsi diventano occasioni belle per imparare da “vicini di casa”.

don Paolo Zaramella, coordinatore del sinodo dei giovani

Il nostro “Tabor” per riscoprire le mete
Mentre scriviamo, siamo ormai alla fine del secondo giorno di convegno. È ancora presto per fare commenti riassuntivi, ma di certo una cosa è chiara: stiamo imparando tutte le sfumature di colori dall’azzurro al nero. Un convegno che vede coinvolti soprattutto sacerdoti e religiosi, adulti impegnati nel servizio di pastorale che hanno a cuore i giovani, un convegno che parla di cura e attesa, termini che sembrano ormai estranei alla nostra quotidianità fatta di troppi stimoli che ci rendono distratti e frenetici. Ci piace pensarlo un po’ come il nostro Tabor, la nostra sosta rigenerativa per riscoprire le motivazioni e le sfide della figura educativa, una figura adulta che oggi più che mai sa fare della fragilità un luogo teologico e che vuole educare i giovani alla vita, ad amare non solo la meta, ma tutto il sentiero. In questi primi giorni abbiamo ascoltato le relazioni di alcuni professionisti, dalle quali con sorpresa abbiamo scoperto che psicologia, teologia e vita possono fondersi creando un’immagine concreta e viva dei giovani che abitano le nostre comunità. Domani sarà il tempo dedicato al confronto e al laboratorio, un tempo altrettanto ricco e stimolante.

Carmen Savarese, Chiara Gambin, Federica Spolverato e Chiara Boccardo

Allargando il cuore oltre la nostra diocesi
Il convegno lo sto vivendo come una grande opportunità per allargare lo sguardo e il cuore al di là delle nostre singole parrocchie o della nostra diocesi per tastare il polso e ficcare il naso dentro alle altre chiese locali. È bello vedere la passione per i giovani che muove educatori, presbiteri, collaboratori di pastorale giovanile, religiose... I relatori sono molto stimolanti e preparati, non danno pillole di saggezza o prontuari di formule da applicare, ma propongono alcune piste dentro alle quali ciascuno può trovare le sue sintesi personali e i suoi modi di intervenire. Inoltre, nelle occasioni informali, in pullman o a tavola, si possono stringere legami e amicizie con referenti di altre parti d’Italia. Al di là di tante parole, credo sia importante il titolo, che racconta molto bene l’atteggiamento educativo: cura e attesa. Cioè amore, dedizione, passione, relazioni e legami personali insieme a pazienza, non voler tutto e subito, seminare senza aspettarsi già il raccolto, speranza.

don Roberto Frigo vicario parrocchiale a Mestrino

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