Perché i catechisti mancano?

E' una domanda chiave per la chiesa oggi e in particolare per la diocesi di Padova, giunta al quinto anno dalla scelta del nuovo modello di iniziazione cristiana. Risponde don Giorgio Bezze, direttore dell'ufficio diocesano per la catechesi. Certo, il nuovo modello di Ic non basta a giustificare una fatica generalizzata, che tocca anche altre figure (educatori, animatori missionari e altri). Si tratta piuttosto di non farsi rubare la gioia di evangelizzare raccontata da papa Francesco e di non cadere nelle "tentazioni" descritte in Evangelii Gaudium.
Trovi questo e altri contributi sulla catechesi in Speciale Catechisti, nel numero di domenica 15 gennaio. 

Perché i catechisti mancano?

Sempre più spesso, incontrando i gruppi di catechisti, ma anche leggendo alcuni articoli in varie riviste, ci si accorge che diventa difficile trovare catechisti disponibili.

Pensare che la causa di tale situazione si trovi nel nuovo modello di iniziazione cristiana sarebbe superficiale e improprio perché tale mancanza riguarda anche altri operatori pastorali impegnati in più ambiti: è il caso degli educatori dei gruppi giovanili, degli animatori missionari, e di altri ancora.

Sicuramente tra le cause di questa difficoltà c’è la complessità della vita che crea tra gli adulti una stanchezza diffusa, ma anche il sistema di lavoro che, impegnando di più, riduce il tempo libero a disposizione, e infine il carico di impegno familiare per i figli piccoli. Per comprenderle tutte si dovrebbe affrontarle caso per caso, tuttavia sono anche convinto che uno dei motivi sia riscontrabile in quello che papa Francesco, nell’esortazione Evangelii Gaudium, chiama le “tentazioni pastorali” in cui molti cadono.

In parecchi cristiani laici, infatti, quando viene loro proposto un impegno ecclesiale, scatta una sorta di difesa nel preservare a tutti i costi i propri spazi di autonomia, di tempo libero, come se assumere un compito di evangelizzazione fosse un veleno pericoloso invece che una gioiosa risposta all’amore di Dio che ci convoca alla missione e ci rende completi e fecondi.

Così alcuni fanno resistenza a provare fino in fondo il gusto della missione e rinunciano a ogni tipo di impegno. C’è poi un individualismo estremo che si esprime in una cura eccessiva per gli spazi personali di autonomia e di distensione che porta a vivere un eventuale servizio in parrocchia come un’appendice, come se non facesse parte della propria identità cristiana. È la tentazione di costruirsi una duplice vita, dove il servizio è considerato un di più, non un aspetto essenziale del vivere cristiano, ma qualcosa a cui si può facilmente rinunciare o che può essere relegato entro confini ben precisi e poco impegnativi.

Ma il disimpegno che blocca la gioia dell’annuncio del vangelo viene anche causato non tanto dal percepire come un problema la mole dell’attività pastorale, ma perché è l’attività che alle volte viene vissuta male, senza le motivazioni adeguate, senza una spiritualità che permei l’azione e la renda desiderabile. Molti catechisti lasciano il loro servizio perché si stancano più di quanto sia ragionevole in quanto non si tratta di una fatica serena, ma tesa, pesante, vorrei dire senza anima, insoddisfatta e, in definitiva, non accettata.

Non è difficile infatti riscontrare catechisti non contenti, lamentosi, che vedono sempre e unicamente il problema e la difficoltà anziché ciò che funziona e dà speranza. Un simile atteggiamento non solo fa perdere il desiderio a chi è già impegnato, ma allontana anche chi potrebbe essere disponibile a impegnarsi, e a farlo con entusiasmo.

Come cristiani siamo chiamati a vincere queste tentazioni, a fare unità dentro di noi, in modo che fede e vita siano un tutt’uno. Siamo chiamati ad ascoltare l’invito di papa Francesco che insiste perché ognuno di noi non renda la sua fede grigia e tiepida, non riduca la sua appartenenza alla chiesa a tristi abitudini e soprattutto non si lasci rubare

Copyright Difesa del popolo (Tutti i diritti riservati)