Scout e parrocchie, un legame prezioso da approfondire

Una risorsa positiva per la comunità o un corpo estraneo, da utilizzare come manovalanza? Qual è il rapporto tra i gruppi scout e le comunità parrocchiali che li ospitano? Capi scout, assistenti, parroci ne hanno discusso col vescovo Claudio in un incontro partecipato e ricco di spunti significativi.

Scout e parrocchie, un legame prezioso da approfondire

Qual è il rapporto tra i gruppi scout e le comunità parrocchiali che li ospitano?
Fin dall’autunno scorso è stato avvertito, da parte dei responsabili delle associazioni scout nella diocesi di Padova – Agesci, Fse, Avsc, Cngei e Assiscout – l’esigenza diffusa di cercare una risposta a questa domanda.

Domanda che interessa i 6.261 scout della diocesi, divisi in gruppi il 72 per cento dei quali hanno sede nelle parrocchie.
Il vicario per la pastorale don Leopoldo Voltan e l’assistente diocesano scout don Daniele Longato hanno promosso un incontro (l’11 maggio scorso) tra i parroci nelle cui comunità sono presenti i gruppi, assistenti e capi scout.

L’invito è stato rivolto in primis al vescovo Claudio, il trait d’union naturale tra queste due sensibilità, vista la sua esperienza sia di assistente scout che di parroco. Esperienze che porta nel cuore, come ha dimostrato nel primo dei suoi interventi.
«Dai 16 anni in poi sono stato “contaminato” dallo scoutismo».

E ha sintetizzato le domande emerse fino ad allora: quando un prete dev’essere presente negli scout? Se si fa parte di un gruppo scout ospitato da una parrocchia diversa dalla propria, di quale parrocchia si fa parte? E cosa vuol dire educare alla fede i ragazzi?
«La comunità capi sceglie di essere comunità cristiana – ha proseguito il vescovo – i ragazzi vanno accompagnati a questa scelta. Penso che lo scoutismo possa dare un contributo alle parrocchie, ma bisogna aiutarsi reciprocamente. Il senso dell’assistente scout, individuato in don Daniele Longato, è proprio questo. C’è bisogno di una figura che aiuti gli scout a essere in comunione con la chiesa, sia a livello diocesano che parrocchiale. Il compito che ho dato a don Daniele è quello di aiutare le parrocchie a riconoscere nello scoutismo un percorso adatto per crescere come cristiani e buoni cittadini».

L’argomento era stato introdotto da quattro diverse figure: un assistente, don Federico Lauretta (parroco di Santa Giustina), secondo il quale «capi scout e catechisti dovrebbero collaborare», perché «lo scoutismo è parte integrante della formazione cattolica»; il vice presidente di un consiglio pastorale parrocchiale, Agostino Cortesi, che ha illustrato l’esperienza della parrocchia di San Camillo, dove lo scoutismo è considerato una risorsa e una sfida, «perché spinge la parrocchia a uscire dai propri confini e avvicina ragazzi che non frequentano la parrocchia, ma dove non sono mancati momenti di tensione per la gestione degli spazi e le sovrapposizioni delle attività in calendario, risolti grazie al ruolo del consiglio pastorale parrocchiale, dove siedono anche due capi scout».
Ancora un altro parroco, don Carlo Cavallin della Madonna Incoronata, che arrivato in parrocchia ha colto un senso di sofferenza da parte del gruppo scout che non si sentiva riconosciuto.
È intervenuta poi Giovanna Cardin, capogruppo di Monselice: «L’impressione che abbiamo è che la comunità parrocchiale ci veda come un corpo estraneo, una manovalanza di servizio. Inoltre abbiamo rilevato un’esigenza formativa a livello di catechesi». È questo un elemento sottolineato da più parti.

La risposta del vescovo, su questo tema, è netta:

«Non c’è bisogno necessariamente di un prete per educare i ragazzi alla fede. Ogni capo è responsabile della formazione dei propri ragazzi. Lo scoutismo ha tutti gli strumenti per educare alla fede, ma non è giusto chiuderlo dentro il suo mondo».

Concludendo l’incontro, il vescovo Claudio ha sottolineato l’importante contributo che possono dare i gruppi scout presenti nelle parrocchie, soprattutto proiettandosi verso un futuro in cui ci saranno sempre meno preti e le comunità saranno chiamate a una forte corresponsabilità. «Dobbiamo essere presenti nel progetto educativo, nel quale tutti si sentano responsabili. Ci sono già belle esperienze di dialogo all’interno delle comunità parrocchiali e ai preti dico: non chiudiamoci».

È con questa missione che don Daniele inizierà un giro di incontri con parroci e capi scout, per capire dove si nascondono le maggiori difficoltà e indicare la strada del dialogo.
«L’incontro di questa sera è stato decisivo, perché è un punto di partenza».

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