Tempo di Avvento. Impariamo a sostare

«Una sosta che la rinfranca…» è l’invito che la chiesa di Padova fa alle proprie comunità in questo anno pastorale. Un modo per aiutare a fermarsi e guardare dove si è, ma anche per saper stare nelle situazioni che la vita ci presenta. Superando la frenesia del fare, per entrare nella dimensione dell’essere e della relazione, la sosta è un’occasione che apre al nuovo, all’inedito. Ma cosa ci evoca questa immagina della sosta? Quali luoghi ci raccontano il suo significato? L’abbiamo chiesto a don Luca Facco, direttore di Caritas diocesana.

Tempo di Avvento. Impariamo a sostare

«La sosta mi rammenta un passo di Gesù, narrato solo da Matteo, nel capitolo 11. In un momento di difficoltà Gesù si ferma e guardando negli occhi i suoi discepoli dice “Venite a me voi che siete stanchi e oppressi e vi darò ristoro, vi darò riposo”. Sostare come riposare. Gesù invita a riposare. Così nella vita, nel momento in cui ci sono le difficoltà, questa parola ci dice di imparare a fermarsi. Ed è sorprendente perché Gesù stando a riposo con i suoi discepoli è capace anche di benedire e nasce una preghiera: “ti benedico o Padre, ti lodo o Padre”. Ecco dalla sosta può nascere anche la benedizione al Padre».

Sostare si può anche spezzare in so-stare, nel senso di saper stare nelle situazioni…
«Saper stare è importante, specie in quest’epoca in cui siamo sempre in movimento, siamo orientati verso un obiettivo, verso una meta. Abbiamo bisogno invece di imparare a stare nelle situazioni, a stare di fronte alle persone, a guardarle negli occhi, quasi a “perdere tempo”, ma per occuparlo in una relazione un po’ più profonda».

C’è un luogo che ti appassiona particolarmente e che ti aiuta a entrare in questa dimensione della sosta?
«La montagna. Sostare in montagna è importante per recuperare le energie, rifiatare, ma è anche quest’occasione di guardarsi negli occhi, contemplare il panorama, riguardare la cartina, riorientare il percorso. È un’occasione per ridirsi dove andare e fare la verifica delle forze che si hanno per proseguire. La montagna, con il suo valore di stupore e contemplazione, ci insegna che siamo parte di un tutto. È il luogo in cui ci mettiamo a confronto con le nostre capacità ma anche con le debolezze, i limiti, le fatiche. È occasione per imparare a stare con gli altri – condividendo pesi e fatiche, aiutandosi nei passaggi difficili – ma anche con se stessi, perché si impara a conoscere il proprio corpo, le proprie reazioni, le proprie emozioni. È una grande scuola di vita».

La montagna è anche una dimensione interiore e dello spirito. Nel quotidiano dove la possiamo ritrovare?
«La prima montagna da incontrare e da scalare è dentro di noi. Spesso siamo tutti presi dall’esterno, al punto che evitiamo di intraprendere questo cammino interiore. Invece è importante conoscere se stessi per imparare a stare in mezzo agli altri».

Che dimensione di Dio ti fa incontrare la montagna?
«La montagna, con la sua grandezza e la sua vastità, mi ricorda quanto siamo piccoli, ma anche quanto siamo preziosi. E richiama anche quanto c’è da camminare, da scoprire ancora, perché quando giungi a una vetta, pensi di aver camminato tanto e di essere arrivato, in realtà ti si apre ulteriore spazio, ulteriore cammino, ulteriore possibilità. La montagna mi ricorda che non conosciamo tutto. Ecco: incontro un Dio che apre spazi, possibilità, nuovi orizzonti di cammino».

Un po’ come l’Avvento, un tempo che porta a qualcosa di grande e nuovo ogni volta? Come possiamo sostare in quest’attesa?

«Ci piacerebbe che in questo tempo di sosta, imparassimo, come comunità cristiane, famiglie, nuove generazioni, a educarci a vivere esperienze di incontro, di amicizia, di relazione, prendendosi del tempo per porci delle domande: questa esperienza cosa dice di me? Cosa ho imparato? Dovremmo imparare a gustare le esperienze, gli incontri, a farli entrare dentro di noi, anche per prepararsi a vivere l’esperienza successiva. Sostare come “interrompere”, per poco, per stare a contatto con la vita e con il nostro mondo interiore».

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