"Visto umanitario" per abbattere la tratta

Un importante incontro di chiesa che ha messo in luce il grande lavoro di accoglienza umanitaria che le chiese del Mediterraneo stanno portando avanti. È quanto ha vissuto ad Atene don Luca Facco, direttore di Caritas diocesana Padova, partecipando dal 9 al 12 giugno a “Migramed”, un meeting di confronto tra Caritas rappresentanti di 21 paesi: Albania, Algeria, Austria, Belgio, Cipro, Francia, Germania, Grecia, Italia, Giordania, Libano, Libia, Malta, Marocco, Russia, Spagna, Svezia, Siria, Tunisia, Turchia, Ucraina.

"Visto umanitario" per abbattere la tratta

L’evento ha consentito di conoscere l’impegno di Caritas Grecia sul fronte della crisi e di sviluppare una riflessione comune sui temi delle frontiere esterne, dei ritorni e delle procedure di ingresso protetto, con uno spazio importante di aggiornamento sulla crisi siriana.
«La Grecia – racconta don Facco – resta il paese più colpito dalla crisi, con un forte aumento delle persone senza dimora. Il papa ha lanciato l’appello a promuovere come Caritas e ufficio famiglia la creazione di gemellaggi con la chiesa greca per conoscere la realtà e alimentare il turismo. Per le chiese del Triveneto, Caritas Udine fa da capofila in questo senso e tra fine luglio e primi di agosto un gruppo di 20 giovani, di cui 6 padovani, si recherà in Grecia per svolgere un campo di volontariato».

Com’è coinvolta la Grecia dai flussi migratori?
«È un paese di transito, in particolare per i siriani. Non permette la richiesta di asilo politico, con una clausola di detenzione amministrativa di minimo 18 mesi per chi entra senza visto. La Caritas è davvero in difficoltà perché si trova in una situazione contingente dove è arduo fare proposte».

Novità dalla situazione in Siria?
«Il vescovo di Aleppo ci ha spiegato i motivi della guerra, come sempre dovuti a fattori di potere economico, legati in particolare alla gestione del petrolio, e ammantati di sfumature religiose. La situazione civile, di grande corruzione a tutti i livelli sociali, è davvero drammatica: ci sono sei milioni di profughi siriani, quattro all’interno del paese e due all’esterno». Cosa fa Caritas siriana? «Porta avanti programmi alimentari, di formazione, aiuto scolastico, di sostegno alla terza età».

E le Caritas dei paesi vicini?
«Caritas Libia sta accogliendo un milione e 200 mila rifugiati siriani; Caritas Giordania tra i 400 e i 600 mila, Caritas Turchia un milione. L’Italia da gennaio 2014 ha accolto circa 50 mila persone. Il confronto tra questi dati e il racconto in presa diretta della situazione, anche da parte dell’Unhcr (Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati), ci ha permesso di renderci conto di quanto i paesi antistanti stiano già facendo per quanti scappano dalla guerra. È un lavoro straordinario di accoglienza!».

Si è parlato dell’operazione “Mare nostrum”?
«Si è riconosciuto che sta salvando delle vite umane e quindi ha un forte impatto umanitario, ma vive anche del limite che le persone, pur salvandosi, sono ancora costrette, per spostarsi, ad affidarsi ai trafficanti».

C’è una soluzione?
«Oggi un profugo deve fisicamente entrare in un paese europeo per richiedere protezione umanitaria. Ad Atene si è individuata una stessa soluzione, sotto due nomi diversi: il commissariato dei rifugiati parla di “ingresso protetto”, Caritas di “visto umanitario”».

In cosa consiste?
«È possibile prevedere, rifacendosi alla convenzione di Schengen del 1985, che i richiedenti asilo politico in Europa possano farne richiesta in un paese terzo, presso un’ambasciata europea. A livello organizzativo questo permetterebbe di attuare un filtro: le persone richiedenti si dovrebbero prima registrare presso le organizzazioni umanitarie, che porterebbero a loro volta la richiesta in ambasciata per il visto umanitario. Questo garantirebbe alle persone di entrare in maniera legale, e con una certa gradualità, nei paesi di destinazione, e bloccherebbe il mercato di trafficanti. Oggi il passaggio, per via illegale, tra Turchia e Italia costa 1.200 euro».

Quale contributo ha colto da questo meeting mediterraneo?
«È stato un bell’incontro di chiesa. Una conoscenza più approfondita dei paesi e delle politiche migratorie. Ma soprattutto la consapevolezza del bagaglio di ricchezze e complessità che ogni paese sta affrontando, dando un contributo sulla mobilità umana che va affrontata, non sempre nell’emergenza ma con una progettualità a lungo termine. Anche politica».

E i profughi a Padova?
«Sono 58 persone, provenienti da Siria, Etiopia e zona sub Sahariana. Ci hanno dato disponibilità ad accogliere queste persone, tramite cooperative sociali, quattro famiglie, qualche parrocchia ed ente diocesano. È un modello di accoglienza che prevede anche piccoli percorsi di integrazione e non crea alcun disagio nel territorio».

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