#nataledifrontiera. Gesù nasce nella guerra

Il #nataledifrontiera di Claudio Bozza, missionario comboniano in Sud Sudan. La drammatica guerra civile che da quattro anni insanguina il paese più giovane al mondo non uccide la speranza. Il missionario di Celeseo testimonia il Natale nei volti e nelle piccole esperienze che ogni giorno vive la gente di Tali.

#nataledifrontiera. Gesù nasce nella guerra

Due milioni e mezzo di sfollati. Migliaia i profughi, donne, vecchi e bambini, massacrati dalle numerose bande armate che si aggirano per città e villaggi. Metà degli otto milioni di sud sudanesi – secondo dati Onu – sono oggi a rischio fame e malattie.
Una crisi umanitaria classificata dalle agenzie internazionali allo stesso livello di quella siriana. Il Sud Sudan è il paese più giovane al mondo, indipendente da soli sei anni.

Ma oggi si appresta a vivere il suo quarto, drammatico Natale di sangue da quando, nel dicembre 2013, è scoppiata una guerra civile che non sembra trovare una via di risoluzione. «Per noi è un momento davvero delicato. Il quadro generale è a dir poco agghiacciante. Eppure l’Emmanuele, il Dio con noi, è presente qui in Sud Sudan. Nella semplicità di tutti i giorni».

Sono parole di speranza quelle di Claudio Bozza, fratello comboniano originario di Celeseo.
Il suo racconto è di quelli che non lasciano indifferenti.

«Juba, la capitale, non è cambiata molto da quando l’avevo lasciata, oltre un anno fa. Appena ci si muove per la città, si incontrano tratti di strada asfaltata e piste in terra battuta, polvere e miseria ovunque. Rimane il coprifuoco dalle 19 alle 7. L’insicurezza permane, si tocca con mano nei volti di tante persone che incontro lungo la strada. Rosa, che lavora in casa Comboni, è venuta a salutarmi e porgere le condoglianze per la perdita di mio papà lo scorso luglio. Gli occhi sono impauriti e a fatica riesce a raccontare quello che ogni sera si vive nei vari quartieri della capitale».

Alla base del conflitto le tensioni etniche tra guerriglieri dinka e buona parte dell’esercito, che appartiene al popolo nuer. Divisioni fomentate dalla lotta intestina al governo del giovane stato, tra il presidente Salva Kiir e il suo ex vice Riek Machar. Gli scontri in questi anni sono stati così violenti da rendere impossibile il calcolo delle vittime.

«Gruppi di persone armate si muovono liberamente, entrano nelle abitazioni portando via qualsiasi cosa anche quelle più banali. Il più delle volte gli abitanti si sono assentate per un breve periodo, ma se sono presenti in casa e tentano di opporre resistenza vengono eliminati. È normale a Juba sentire di notte spari di arma da fuoco».

Tornano così alla mente le parole di papa Francesco, in un’omelia a Santa Marta di due anni fa: «Siamo vicini al Natale, ci saranno luci, ci saranno feste, alberi luminosi, anche presepi... tutto truccato. Il mondo continua a fare guerra!».

Eppure, testimonia fratel Claudio, Gesù viene: anche quest’anno, anche in Sud Sudan, anche nella missione di Tali, dove opera con altri due comboniani e quattro suore elisabettine.

«Personalmente, lo incontro in tante donne che con il loro bambino arrivano al centro medico sanitario della missione, dopo aver fatto ore di strada sotto il sole cocente, per ricevere attenzione, cure e conforto. Lo incontro in tanti ragazzi che si impegnano nella nostra scuola per cancellare la paura ed essere il cambiamento e il futuro del loro paese che al momento ha visto solo violenza. Lo incontro nei catechisti della parrocchia che con amore e generosità accompagnano le comunità cristiane a vivere l’annuncio del vangelo in un contesto assai difficile. Lo incontro in tante persone che nella loro semplicità testimoniano la loro fede. Al di là di tutte le nostre preoccupazioni, quello che celebriamo, a Natale, è questo. Un Dio bambino che si affida alla nostra umanità; la nostra umanità che riceve questo dono con stupore e felicità».

Nell’avvento che si è appena concluso un gruppo di giovani ha dato vita a una preghiera itinerante, di casa in casa.
La recita del rosario per la pace in Sud Sudan ha generato incontri, relazioni e ha consentito a questi giovani di toccare con mano la forza della preghiera, in una società, quella dei mundari che si basa sul bestiame, da cui si ricavano cibo, vestiti, e anche la predizione del futuro, “letto” dal “profeta” negli intestini del bue.

Anche tra i mundari «ci sono persone che soffrono nel silenzio, si affidano a Dio con una fede semplice ma sincera. Molti sono impegnati nel loro piccolo, a costruire occasioni di dialogo, perdono e riconciliazione. Ci sono altre persone, come altrove, che non cercano Dio. Sono orientate verso se stesse, ai piccoli successi del momento e non comprendono che è proprio Dio stesso che dà la forza, l’energia e la capacità di fare tutto ciò che fanno. È il problema di sempre: scegliere tra Dio o il denaro. Anche i poveri si devono confrontare con questa realtà!».

Ma la fiamma della speranza rimane accesa, grazie ai missionari pronti a donare la vita per la pace in Sud Sudan e un popolo che nonostante tutto genera ogni giorni germi di fraternità.

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