#nataledifrontiera. L'esperienza di Anna: «Quanto è bello essere testimonianza»

Anna Morbiato, 21 anni, studentessa universitaria al terzo anno di scienze della formazione primaria, ha scelto di vivere il suo Natale nell'incontro con il povero, l'emarginato, lo straniero. La sua esperienza nella Comunità di sant'Egidio "dura" tutto l'anno ma a Natale si trasfigura dando senso alla nascita di Gesù.

#nataledifrontiera. L'esperienza di Anna: «Quanto è bello essere testimonianza»

È giovane, intelligente, solare. Sempre circondata da amici e familiari che le vogliono bene. Potrebbe vivere il Natale nella maniera più convenzionale, quasi come in una pubblicità, nel calore della sua casa, tra parenti, regali e leccornie. Ma Anna Morbiato, 21 anni, della parrocchia di San Leopoldo Mandic, comune di Ponte San Nicolò, ha scelto anche per quest’anno un “Natale di frontiera” nella chiesa dell’Immacolata, in via Belzoni a Padova, per un pranzo con persone che vivono forme diverse di povertà, da quella materiale a quella relazionale.

«Da quando sono in seconda superiore – racconta sorridente Anna – faccio parte della Comunità di sant’Egidio. Avevo iniziato con un servizio tra gli anziani soli di un istituto, ma poi, da tre anni, ho intrapreso il servizio nella “Scuola della pace”, nel quartiere padovano della Guizza, per un doposcuola di integrazione tra i figli degli stranieri». Qui, le attività iniziano a farsi sempre più trasversali, dall’aiuto ai bambini che sanno poco l’italiano fino alla consegna di borse della spesa a famiglie in estrema difficoltà: «Dai ragazzi non ci facciamo chiamare “animatori”, ma “amici grandi”». Il “doposcuola della pace” si svolge oggi anche a Mortise e all’Arcella: in tre anni si è arrivati a coinvolgere 150 bambini e sessanta ragazzi di liceo. Il martedì sera Anna partecipa alla “serata universitaria” di Sant’Egidio, tra preghiera e servizio: «Aiuto i profughi a fare i compiti di italiano, ma poi ci troviamo insieme per cenare anche con chi ha fatto altri servizi, in modo che, nel racconto, ciascuno possa “fare propria” la storia degli altri».

Prima di Natale Anna e i suoi amici di Sant’Egidio hanno già avuto modo di incontrare chi vive la “frontiera”. Il 15 dicembre, sempre all’Immacolata, ma in patronato, si è svolta una cena con la comunità rom. «Non c’è solo la cena – ammette Anna – è fondamentale anche il lavoro che viene fatto per invitare queste persone a partecipare». Lunedì 18, invece, i giovani volontari hanno organizzato una festa di Natale dentro la base di Bagnoli, portando dei cioccolatini in regalo.

Il giorno di Natale c'è il pranzo con i poveri “in corpo e in spirito” di Sant’Egidio in due sedi in contemporanea: nella chiesa dell’Immacolata e alla basilica del Santo. Per Anna non è il primo anno: «Dobbiamo organizzare due pranzi – racconta – perché le persone sono così tante da non poterci stare in un’unica sede. Ci sono i poveri, ma anche persone sole, ragazzi e famiglie intere che non hanno con chi stare. Molti di loro sono persone che incontriamo tutto l’anno, ma questo è il giorno dei poveri e noi non possiamo che festeggiarlo con loro». Nei giorni che precedono il Natale i volontari preparano i regali personalizzati per ciascun ospite: «Molti sono sciarpe, berretti, coperte per chi è senza dimora. Ai bambini, invece, regaliamo dei giocattoli. Ogni ospite ha il suo segnaposto, ciascuno viene invitato personalmente. L’anno scorso una persona che vive per strada ha appeso sul cartello stradale sotto il quale dorme l’invito che gli abbiamo portato, e poi ha messo il segnaposto con il suo nome in grande. È commovente: il pranzo di Natale dura poco, ma ha effetti molto a lungo».

Il Natale di Anna è certamente diverso, ma non per questo è “meno Natale”.

Tutt’altro: «Sia a casa, che nella chiesa dell’Immacolata con la comunità di Sant’Egidio e i poveri, mi sento in famiglia. E in fondo è questo il valore del Natale. Molti dicono di “non sentire lo spirito del Natale”. Per forza, dico io: se non si fanno davvero le cose che contraddistinguono il Natale e non ci si prepara, attraverso l’avvento, a vivere qualcosa di bello, tutto perde di significato».

Anna conferma: «Tre anni fa avrei detto che il Natale è un momento in cui ci si trova come famiglia, si mangia e si scartano regali. Oggi, invece, per me il Natale è gioia e condivisione, ma è soprattutto un giorno che attendevi, un giorno per il quale ti sei preparato. È in questo tipo di Natale che si realizzano i sogni e trova compimento ogni attesa».

L’anno scorso Anna ha diviso il tavolo con Salif, Moumouni, Vassiriki, che ormai considera in tutto e per tutto amici: «Anche se sono musulmani, hanno risposto all’invito in nome della nostra amicizia. Non solo sono venuti al pranzo, ma anche alla messa. Successivamente, sono stata io a essere invitata per la festa di fine Ramadan. Il Natale è anche il giorno dell’amicizia, un’amicizia che va al dà degli ostacoli culturali e religiosi».

Anna è consapevole che questa scelta è vista da molti, specie coetanei, come controcorrente. Ma questo non la spaventa, tutt’altro: «Quando avevo 16 anni, rinunciare alle feste con gli amici per fare servizio tra gli anziani del Configliachi era difficile. Ma poi ho capito quanto sia bello essere testimonianza. Oggi vedo però crescere, anche intorno a me, fenomeni ideologici di forte chiusura e contrapposizione. Eppure, nei progetti di alternanza scuola-lavoro incentrati sul servizio, negli incontri nelle scuole tra i profughi e gli studenti, mi accorgo di come basti pochissimo per cancellare egoismo, aggressività e cattiveria nei ragazzi. Per questo sono così ottimista per il futuro». 

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