Anche al museo diocesano di Padova "Fede a colori": l'arte annuncia il vangelo

Don Antonio Scattolini, del servizio per la pastorale con l’arte Karis di Verona, che collabora con l’iniziativa padovana dell’ufficio per l’evangelizzazione e la catechesi e il museo diocesano, spiega come nasce e si struttura l’incontro con l’opera d’arte strumento d’annuncio. Il prossimo incontro del 7 marzo sarà un laboratorio con l'arte diocesana.

Anche al museo diocesano di Padova "Fede a colori": l'arte annuncia il vangelo

Una fede a colori, come quella indicata dal corso di catechesi con l’arte che si sta svolgendo nel museo diocesano di Padova, prende il via dalla convinzione che la bellezza, in cui siamo immersi, per così larga parte ispirata dal mistero cristiano, può essere goduta sul piano propriamente estetico, su quello della profondità umana, e anche per lasciar emergere la buona, e bella novella, del vangelo.
Lo testimonia don Antonio Scattolini, del servizio per la pastorale dell’arte Karis della diocesi di Verona che è intervenuto nel corso padovano nel terzo incontro, in calendario mercoledì 22 febbraio, dedicato a “incontrare un’opera d’arte”.
Da dove nasce l’idea di questo incontro?
«Anzitutto dalla constatazione che molte persone, fedeli, pellegrini, turisti, incontrano le nostre opere d’arte. E non solo chi cerca il vangelo incontra l’arte, ma anche gli artisti, diversamente da qualche anno fa, appaiono interessati a una ricerca di oltre e d’altro che attinge ai temi cristiani. Pensiamo a uno su tutti, Bill Viola, il più grande art-performer contemporaneo, e al suo dialogo con la croce e la fede. L’arte appare un linguaggio pertinente della cultura contemporanea per la ricerca dell’oltre».

La catechesi con l’arte è quindi un modo per valorizzare il nostro patrimonio?
«Particolarmente in Italia viviamo in un ambiente intessuto di bellezza cristiana, un patrimonio ricchissimo che dobbiamo imparare a valorizzare perché non c’è città, non c’è parrocchia che non abbia qualcosa di bello da mostrare. Noi cittadini italiani, cittadini cristiani abbiamo un patrimonio immenso che non è solo da custodire, ma da vivere, un lascito da riattivare non per dire quanta eredità ci è lasciata dal passato, ma quanta nostra identità è racchiusa in essa».

Ma l’arte diventa via alla fede?
«Se il cristianesimo ha una bella notizia per una vita bella-buona, allora il linguaggio della bellezza è uno dei più pertinenti per l’annuncio, certo assieme a quello narrativo, al liturgico-simbolico, al testimoniale. Se un martire o madre Teresa testimoniano a loro modo la vita buona, c’è anche la testimonianza dataci dagli artisti della bellezza. Si tratta di imparare un metodo con gente bella che coltivi belle competenze».

In cosa consiste questo metodo?
«Vuol dire attivare uno sguardo sull’opera d’arte in tre stadi: che la rispetti come opera; che permetta di recuperare il suo spessore umano con l’esperienza che c’è dentro: l’arte che riguarda l’amore, il dolore, la nascita, la morte, la speranza; e poi far emergere una parola di vangelo, implicita o esplicita. Esplicita, come nel caso della cappella degli Scrovegni, che è tutta su testo cristiano; implicita in un’opera come La danza di Matisse che a prima vista non ha nulla di evangelico, ma in realtà traduce nell’immagine un ideale di danza, di fraternità, di bellezza e di comunione che ha a che fare con il mistero della Trinità. Nel corso cerchiamo di imparare a conoscere e apprezzare, di affezionarci alla nostra arte, imparando a valorizzarla in processi di annuncio della fede».

Quali possono essere queste occasioni?
«Molteplici. Da anni con la pastorale dell’arte Karis abbiamo attivato una serie di esperienze in carcere, con i disabili, con i bambini, con gli adulti, E siamo rimasti sorpresi di come la bellezza possa risvegliare quello che di bello, di autentico c’è in ogni persona, sia essa più o meno acculturata, anche quando vive esperienze lontane dalla bellezza. Abbiamo portato gli immigrati a visitare la mostra del museo diocesano a Padova, ma stiamo lavorando anche con operatori sanitari, con percorsi di riabilitazione sociale, terapeutica, educativa. E poi ci sono i tempi liturgici, i percorsi legati all’anno liturgico nei cosiddetti tempi forti d’avvento e quaresima. I genitori coinvolti nel cammino dei figli, i ragazzi della prima comunione, della cresima. Non c’è ambito che resti neutro o distante da questa possibilità. Perfino l’ecumenismo, il dialogo tra chiese si può fare attorno all’arte. Andrea Nante fa parte con me dell’équipe nazionale Ottagono con cui stiamo accompagnando il progetto di secondo annuncio a chi ha preso le distanze dalla chiesa, valorizzando opere esposte nei nostri musei e nelle mostre».

Sei incontri in due mesi.

Il corso di formazione di catechesi con l’arte “Una fede a colori - Annunciare il vangelo con le parole dell’arte” è coordinato da don Giorgio Bezze, direttore dell’ufficio per l’evangelizzazione e la catechesi, da Andrea Nante, direttore del museo diocesano, e dall’équipe diocesana di arte e catechesi. Si articola in sei incontri, a numero chiuso, rivolti ai catechisti dei ragazzi, agli accompagnatori dei genitori, agli insegnanti, agli educatori e a tutti gli operatori pastorali, in particolare a coloro che seguono un gruppo di adulti e che vogliono valorizzare l’arte nell’annuncio del vangelo. Dopo l’introduzione del 7 febbraio, il secondo incontro è stato dedicato al tema “Quando l’arte si fa rivelazione. Le rappresentazioni religiose”. Mercoledì 22 febbraio don Antonio Scattolini del Servizio di pastorale con l’arte (Karis) della diocesi di Verona, intervenuto al corso padovano con alcuni contributi, ha parlato de “Il metodo: “incontrare” un’opera d’arte”. Martedì 7 marzo è previsto un laboratorio con l’arte diocesana. Mercoledì 15 la comunicazione riguarderà “Esperienze di secondo annuncio con l’arte” mentre il corso si concluderà mercoledì 22 con l’elaborazione di un percorso catechistico con l’arte che metterà a frutto quanto acquisito.

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