Festival biblico 2017: bilancio dell'edizione padovana

Una valigia aperta, una strada che si perde, una barca fluttuante, un uomo in cammino il mantello agitato dal vento: questi i motivi del logo del Festival biblico 2017 che, con lo slogan “Felice chi ha la strada nel cuore” ci è capitato probabilmente sotto gli occhi più volte in questo periodo.

Festival biblico 2017: bilancio dell'edizione padovana

Ora che il festival si è concluso può essere utile tentare un piccolo bilancio, perché la valigia non venga chiusa e messa in soffitta, appeso al chiodo il mantello, sbarrata la via.

Anzitutto i numeri. Ai 22 eventi padovani hanno partecipato 1.200 persone circa. Restano aperte le due mostre al Museo diocesano, visitabili fino al 18 giugno. Alla loro chiusura potremo fare un computo più preciso. Poi i luoghi. Gli eventi sono stati ospitati in tre librerie, all’università, al Museo diocesano, alla sala della Carità, al centro di via Zabarella, in due cinema, all’istituto Barbarigo, nella chiesa di San Gaetano e nel vicino centro culturale. Già questa geografia del festival dice come la proposta sia entrata nel tessuto della città in modo da mettere in rete ambienti diversi, ecclesiali e non.

La novità dell’edizione 2017 consiste nella composizione del comitato promotore. Alla diocesi si sono uniti il centro universitario, Bibbia aperta (associazione laica di studi biblici), il Progetto Giovani del comune di Padova. L’esperienza fatta è stata interessante perché l’occasione del festival ha fatto intrecciare sensibilità, competenze e creatività di realtà che, di norma, operano in modo parallelo. Specialmente grazie a Progetto Giovani è stato possibile il contatto con giovani artisti, estranei al mondo ecclesiale, che hanno offerto spunti interessanti dal e sul mondo under 35. Non c’è stata solo una collaborazione di istituzioni, è scattata una sinergia di progetti.

La collaborazione di queste e altre realtà (dipartimento Diritti umani dell’università, Apostolato biblico, Facoltà teologica, Aidda, ecc.) esprime la consapevolezza di essere tutti in cammino, al di là dei ruoli istituzionali e dei clichés religiosi. Nella nostra città la collaborazione tra soggetti, che insistono sul territorio da prospettive e con finalità diverse, non è una novità. Il festival si è messo sul solco di una buona pratica.

Vanno fatte poi alcune considerazioni sul genere di eventi proposti. La tipologia degli eventi è stata articolata: conferenze, presentazioni di libri, mostre d’arte, proiezioni cinematografiche, spettacoli, reading performativi, un laboratorio teatrale. L’uso di questi registri è stato richiesto non solo dall’esigenza di avere più vie d’accesso all’esperienza del viaggio ma anche dal desiderio di consentire a più persone di condividere la propria esperienza sul viaggio utilizzando il linguaggio che gli è proprio.

Ma le note più interessanti riguardano il tema. Già molto si è detto e scritto sull’importanza e attualità del viaggio, sull’essere in cammino verso una vita bella buona e felice. Eppure non ogni viaggio porta felicità. Perché? Anzitutto il viaggio chiede disponibilità all’osservazione, alla scoperta; implica fiducia nella possibilità di raggiungere la meta; a volte chiede un riorientamento, specie se la strada è cieca o sbagliata. Il viaggio, sia fisico che dell’anima, comporta la ricognizione dei propri limiti, la necessità di compiere delle scelte; rappresenta l’occasione di una rinascita e si rivela essenziale per la definizione dell’identità. Ma non sempre si è disposti a mettersi in gioco, a dar credito alla fantasia e/o all’immaginazione, ad assecondare l’azione dello Spirito che soffia dove vuole. In secondo luogo la strada è collegamento tra un punto di partenza e uno di arrivo, tra una casa che ci si lascia alle spalle e una verso la quale si cammina. Quest’ultima può essere ancora un desiderio, un progetto, ma funziona come calamita e motivazione al viaggio. E se una casa non c’è, né alle spalle né di fronte?

Nella restituzione del laboratorio teatrale cui hanno partecipato 18 giovani attori (selezionati su 60 candidati, provenienti da tutta Italia) è stato più volte urlato un bisogno di casa. La casa può essere una tana dove nascondersi e proteggersi dalla complessità; può coincidere con un grande divano da dove osservare il mondo standosene tranquilli, nella speranza di non essere sfiorati dalle fluttuazioni del mondo. Ma non è questo il messaggio. I giovani attori riconoscono di viaggiare molto; sulla strada però sentono ansia, disagio, senso di vomito. Quale la causa? La parola casa più che i muri indica le relazioni che si tessono dentro lo spazio domestico: marito vs moglie, genitori vs figli, figli vs genitori, e poi i nonni, gli altri parenti, gli amici, ecc. Si esce da una casa dove queste relazioni sono sbiadite o inesistenti ma nemmeno per via si trova un’esperienza in grado di essere meta, risposta al desiderio di un tu significativo.

Le ricerche sociologiche confermano la fragilità degli adulti e la crisi del patto tra generazioni. Perché ci sia strada nel cuore, diventa urgente recuperare il cuore. Infine la strada come sinodo (cammino fatto insieme). Fare strada insieme è stato fondamentale tanto per Israele (l’uscita dall’Egitto, i vari esili d’Israele) quanto per la chiesa delle origini (i viaggi di Gesù con gli apostoli, dei discepoli a due a due, ecc.). L’affrontare insieme la strada non è solo un espediente per meglio superare le difficoltà. È parte della stessa identità credente. Eppure la tentazione di andare da soli, l’impazienza verso chi ha un ritmo diverso dal nostro non sono così lontane dalle nostre comunità e seducono laici, preti e persino vescovi. Per la nostra diocesi impegnata nel sinodo dei giovani lo slogan del festival è come una conferma di direzione. La sintonia tra tutti i componenti la comunità è un impegno e un dono da assumere insieme.

don Roberto Ravazzolo, coordinatore del Festival biblico a Padova

Copyright Difesa del popolo (Tutti i diritti riservati)