Il mondo ci invidia quel che noi trascuriamo

Ci sono luoghi fisici che sanno di anima. Profumano di storia. Trasudano cultura. Luoghi rari, per questo presi d’assalto oggi da quel fenomeno di massa non sempre edificante che è il turismo moderno. Venezia, la nostra Venezia, inno ed esempio di civiltà millenaria, incarna tutto questo.

Il mondo ci invidia quel che noi trascuriamo
Perla della Laguna e gioiello del mondo.

Luogo che sa ingentilirti, dove ogni spazio ha una sua complementarietà. Ovvietà per chi mi sta leggendo, ma credo che al mondo siano davvero poche le città capaci di essere così influenti sull’anima e il corpo di chi le abita o le visita.

Il mio andare a Venezia è sempre un ritorno. Una scoperta. Uno sconfinare dalla realtà, al punto che il ritorno in terra ferma mi lascia una terapeutica sensazione di “benessere”. Non vi è esempio al mondo come Venezia, dove si può tangere l’equilibrio quasi perfetto tra uomo e ambiente.

Qui si arriva persino al senso del “troppo”, per l’abbondanza di bellezza presente. “Troppo” che diventa anche il suo “tallone debole” che sfocia in trascuratezza e abbandono, al punto da mostrarsi come “scandalo nazionale”.
Lo dico e lo penso, dopo essere tornato dall’ennesima vista alle Gallerie dell’Accademia. Luogo che sta a Venezia come i Musei vaticani stanno per Roma. Meta del mondo che vi passa. Simbolo artistico e storico della città, dove più si concentra l’anima della città. I nomi più prestigiosi: Tiziano, Giorgione, Tintoretto, Tiepolo, Bosch per citarne solo alcuni, tanto che per qualsiasi città al mondo basterebbe avere solo tre quadri dell’Accademia per istituire un museo all’avanguardia: moderno e tecnologico, capace di calamitare visitatori.

Il museo dell’Accademia di Venezia, invece, soffre di un cronico atteggiamento da “eccesso di opulenza artistica” nazionale: avere le cose, ma non saperle mostrare. Lugubri e tristi spazi impolverati dove è scarna ogni indicazione utile al visitatore, le Gallerie dell’Accademia sono un “tunnel” dei desideri mai realizzati. Qui tutto è datato, compresi i bagni. I custodi, senza una divisa, si fondono con i visitatori. L’ingresso, è da retrobottega.

Le opere sono illuminate a singhiozzo. Se poi vuoi toccare o “sfregiare” un’opera, la cosa non è affatto difficile. Il tempo della storia, qui dentro stride con “l’immobilismo museale” di chi amministra il patrimonio artistico regionale e nazionale.
M’invento a chiedere a un tecnico del laboratorio di restauro, con tanto di camice bianco, che passava per i corridoi, se la celeberrima tavola che osservavo dell’Annunciazione di Antonello da Messina (che sapevo trovarsi a Messina), fosse una copia visto che qui era firmata Antonello de Saliba da Messina? Risposta sua: «Credo che sia l’originale!? L’ho vista sempre qui…». Peccato invece che l’originale stia davvero a Messina, e la tavola dell’Accademia sia di Antonello, cugino del celebre maestro con l’omonimo nome: dettaglio che ho poi saputo da Wikipedia.

Stavo per uscire, quando un custode notando il mio interessamento, mi dice: «Ha visto le tre sale dietro il polittico?». «No – gli rispondo – non le vedo indicate!». «Lo so, è già un miracolo se ci siamo noi qui – conclude lui – vede i due gradini dietro il polittico, li salga…». In quel “dietro” c’erano Giorgione, Bellini, Tiepolo e la mia incredulità nello stare al centro della storia, ma fuori dalla realtà, dove però il tempo s’è fermato per essere un museo moderno. Biglietto da visita internazionale della cultura del Veneto di oggi.

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