Il restauro del Cristo Passo di Jacopo da Montagnana al Santo

La basilica del Santo è uno scrigno infinito di meraviglie che passano spesso inosservate finché non si accende su di loro il riflettore dell’attualità. In questi giorni tale luce si è accesa su di un Cristo passo, immagine di Gesù sofferente che mostra le sue ferite (la cosiddetta ostentatio vulnerum), risalente all’ultimo quarto del Quattrocento e attendibilmente attribuita a Jacopo Parisati, noto come Jacopo da Montagnana.

Il restauro del Cristo Passo di Jacopo da Montagnana al Santo

L’affresco, realizzato in una nicchia dell’antifacciata, appare a poca distanza da tutti coloro che entrano in chiesa dalla porta della navata destra, eppure credo siano ben pochi i fedeli che vi soffermavano l’attenzione. Un’omissione corretta ora da un opportuno restauro, promosso dalla Veneranda arca di sant’Antonio e finanziato da un’azienda privata del Padovano, la Interchem Italia, che ha voluto così festeggiare il suo trentennale.

Cristo, Uomo dei dolori eucaristico, con la croce di spine sul capo, le mani trafitte e la destra che sorregge il calice in cui si raccoglie il sangue zampillante del costato, emerge dal sepolcro sorretto dai Dolenti (la Madonna e san Giovanni), e attorniato da tre pie donne, descritte con minuziosa accuratezza nell’espressione dei volti e nei particolari delle vesti.
La scena è attorniata dagli strumenti della Passione, Arma Christi, raffigurati tutto attorno: un elenco preciso di oggetti che, come spiega Giovanna Baldissin Molli del collegio di presidenza della Veneranda arca e docente del dipartimento dei beni culturali dell’ateneo padovano, assumevano una funzione memotecnica, analoga a quella che diverràò in seguito la Via crucis, richiamando alla memoria e alla compartecipazione del fedele in contemplazione l’intero itinerario della passione di Cristo. Gli oggetti effigiati nella nicchia sono particolarmente numerosi e alcuni inconsueti: le mani che contano i trenta denari di Giuda, l’orecchio tagliato da Pietro, le mani di Pilato, il velo della Veronica, i flagelli, i chiodi, le tenaglie e il martello, la tunica estratta a sorte, il secchiello e il bastone con la spugna intrisa di fiele e aceto, la lancia del centurione, la scala della deposizione, il gallo che cantò sul tradimento di Pietro.

Il suffragio dei defunti

L’affresco costituisce parte integrante di un complesso che comprende anche la paretina soprastante in cui due angeli, dipinti a monocromo, sorreggono una targa fastosamente incorniciata da motivi floreali, in cui si annuncia l’indulgenza concessa dai papi Gregorio Magno e Sisto IV di 30 mila anni e 23 giorni a chi reciterà le preghiere sdi suffragio per le anime del purgatorio. Sulla parete della controfacciata, accostata alla nicchia, a sinistra, una scritta semicancellata ma ancora leggibile mostra la sequenza delle sette preghiere in latino che, secondo la tradizione, Gregorio Magno compose per essere recitate davanti all’immagine del Cristo passo. Cominciano così: «O Signore Gesù Cristo, ti adoro pendente sulla croce e portante sul capo la corona di spine, ti supplico affinché la tua croce mi liberi dall’angelo che percuote. O Signore Gesù Cristo ti adoro trafitto sulla croce a abbeverato di fiele e aceto, tu supplico affinché le tue ferite siano la salvezza dell’anima mia».
A conferma poi che questo punto preciso della basilica è dedicato al suffragio dei defunti c’è anche il fatto che gli oggetti della passione sono presenti anche al centro delle moderne vetrate delle monofore della facciata della basilica.

Il restauro dell’affresco

Il restauro dell’affresco, come spiega il tecnico Giordano Passarella che l’ha eseguito, seguendo le indicazioni scientifiche di Monica Pregnolato della Soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio, ha comportato il consolidamento dell’intonaco nelle parti sollevate, una pulitura generale e nel ritocco pittorico delicato e armonizzante,rispettoso anche delle integrazioni effettuate negli interventi precedenti. È stata messa in evidenza l’accuratezza del lavoro dell’artista, nelle figure ma anche nella resa dei pannelli marmorei screziati e delle maestranze perfino nella connessione dei mattoni, nell’inserimento degli elementi lapidei, in origine policromi, nella stessa intonacatura della nicchia.
Stilisticamente l’opera restaurata rappresenta un bell’esempio di pittura post mantegnesca: si tratta di un periodo in cui operavano in basilica vari artisti come Pietro Calzetta, Pietro Maggi da Milano, Matteo Dal Pozzo. Ma di tutti loro non si conoscono opere sicure e solo a Jacopo Parisati da Montagnana si possono riferire alcune opere con certezza documentaria. Si tratta comunque di pochi lavori e tutti riferibili agli ultimi anni della sua vita: alcuni frammenti di affresco bellunesi del 1490 tra cui compare un angelo molto simile a quelli del Santo, gli affreschi e il trittico della cappella del vescovado, realizzata nel 1490-95, l’affresco della Risurrezione sempre in palazzo vescovile e le opere del santuario di Monteortone, del 1494-97. I suoi affreschi della cappella Gattamelata, oggi del Santissimo, sono andati perduti.

Il Cristo sofferente

L’immagine del Cristo sofferente, nata in ambito bizantino, conobbe lo sviluppo più significativo nel Cristo in pietà o Imago Pietatis che si diffuse in Occidente soprattutto nel Quattrocento, con l’avvento di movimenti spirituali che sostengono e predicano la sequela Christi, la necessità cioè di vivere secondo l'esempio di Gesù. In particolare la Devotio moderna usava come manifesto spirituale la De Imitatione Christi, attribuibita a Tommaso da Kempis, in cui si propugnava una religiosità intima e soggettiva, contrapposta alla pietà collettiva di stampo medievale, che metteva al centro la meditazione sulla passione di Cristo e sull’eucarestia. Proprio questa meditazione emotivamente puntata sulle sofferenze di Cristo era particolarmente diffusa in ambito francescano accomunata, con le stimmate, alla stessa sofferenza di san Francesco.
In basilica del Santo sono presenti sette raffigurazioni, tra dipinti, sculture e opere di oreficeria, del Cristo passo realizzate nel Quattrocento. Nell’altar maggiore di Donatello è presente un Cristo morto tra due angeli che è ritenuto il prototipo di questo tipo di figurazione.

La prosecuzione dei restauri

Le altre tre nicche dei pilastri della controfacciata ospitano un santo ciascuna, tutti realizzati in epoca trecentesca: sant’Antonio, san Ludovico di Tolosa, santa Lucia. Al restauro degli affreschi che raffigurano gli ultimi due santi è dedicato quanto raccolto con la rassegna concertistica “Musica al Santo per il Santo”. Non è noto se nella nicchia ora occupata dall’affresco quattrocentesco vi fosse già un’opera dello stesso soggetto ridipinta perché deteriorata. Manca anche un preciso riconoscimento dello stemma del committente.
I risultati dei rilievi e degli studi eseguiti sul Cristo passo saranno pubblicati l’anno prossimo nella rivista Il Santo.

 Profumo di Giotto in basilica del Santo

«La basilica ha ancora molto da dire... C’è profumo di Giotto nell’aria». Non ha voluto dire di più Giovanna Baldissin Molli nel corso della presentazione del restauro del Cristo passo. L’allusione è rivolta alle analisi diagnostiche che gli specialisti dell’ateneo  stanno compiendo sulle pareti della basilica.
La prospettiva su cui si sta lavorando è quella della candidatura ad inserire i cicli pittorici del Trecento padovano nella World heritage list - lista del patrimonio mondiale Unesco. Un sito seriale composto da nove luoghi del centro storico che conservano straordinari affreschi risalenti al secolo carrarese.

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