Oggi è la vigilia della Pasqua ebraica, «la festa della libertà»

Il 22 aprile ricorre la festa di Pesach, la Pasqua ebraica. La festa che ricorda la liberazione del popolo ebraico dalla schiavitù in Egitto, come viene raccontato nel libro dell’Esodo, dura otto giorni scanditi dalle celebrazioni e dal clima di festa. Ecco come si appresta a viverla la piccola ma dinamica comunità di Padova.

Oggi è la vigilia della Pasqua ebraica, «la festa della libertà»

«Pesach è la festa che ricorda la liberazione del popolo ebraico dalla schiavitù in Egitto, come viene raccontato nel libro dell’Esodo – spiega il rabbino Adolfo Aharon Locci, da 1999 riferimento spirituale della comunità ebraica di Padova – È stato un momento di passaggio che ha sancito la nascita del popolo ebraico. Questa nascita è avvenuta attraverso due fattori: anzitutto la volontà degli ebrei di essere liberi; poi il desiderio di Dio di liberarli. Pesach è quindi la festa della libertà: tale concetto viene confermato nella promulgazione del decalogo quando Dio, nel primo dei comandamenti, afferma: “Io sono il Signore tuo Dio, che ti fece uscire dalla terra d’Egitto...” (Es 20,2). In quel contesto si presenta come Colui che ha fatto uscire gli ebrei dalla terra d’Egitto; non si presenta come il creatore del cielo e della terra, come è scritto nella Genesi, ma come Colui che interviene nella storia degli uomini. Quindi il mondo, ed è questo uno dei grandi messaggi della Pasqua ebraica, non cammina da solo, non è nato per caso, e non per caso continua a muoversi. Gli esseri umani di conseguenza, se riuscissero a comprendere questo concetto, potrebbero migliorare di gran lunga la vita di tutta l’umanità».

Come festeggerete la Pasqua?
«Biblicamente dura sette giorni e solo nella terra d’Israele ha questa durata. Noi ebrei della diaspora la celebriamo per un giorno in più, otto giorni. La vigilia quest’anno è il 22 aprile, quindi il primo giorno è il 23 aprile e si concluderà con l’ottavo giorno, il 30. Otto giorni in cui i primi due e gli ultimi due sono di festa solenne (non si lavora) e le celebrazioni in sinagoga hanno una liturgia particolare: si leggono i brani della bibbia inerenti la festività. Gli altri quattro giorni centrali che sono, per così dire, di “mezza festa”, è permesso lavorare in caso di necessità. Dopo la sistemazione delle case, il momento centrale delle nostre celebrazioni è costituito dalle due cene, la prima e la seconda sera, in cui si celebra il Seder (ossia “ordine”): nella prima i vari membri della famiglia si radunano attorno a un tavolo leggendo l’Haggadàh (“narrazione”). Si tratta di una rievocazione della nottata di vigilia che gli ebrei trascorsero prima dell’uscita dall’Egitto in cui ripercorriamo tutto quel periodo storico, dalla discesa in Egitto all’inizio della schiavitù e alla solenne liberazione. Tra le letture si ascoltano le domande del bambino più piccolo della famiglia, fornendo risposte sul significato del Seder e della Pasqua ebraica. Le letture vengono interrotte a metà per procedere alla vera e propria cena; poi si riprendono e la serata si conclude con alcuni canti di lode in allegria. La seconda sera è tradizione, per lo meno qui a Padova, riunire i membri della comunità ebraica nella sede della comunità per celebrare collettivamente quanto fatto nella sera precedente (lettura dell’Haggadàh)».

Qual è il messaggio che può lanciare agli uomini del nostro tempo?
«Direi il valore della libertà. Essa si conquista attraverso una volontà di ricerca di consapevolezza. Oggi il pericolo che intravedo è la mancanza di consapevolezza e conoscenza da parte delle nuove generazioni; tra le persone in generale, l’annullamento della capacità critica: apparentemente dicono di essere libere in virtù della possibilità di accedere a qualsiasi cosa, ma in realtà è proprio quella una nuova forma di schiavitù. Pesach è il grido che ogni anno ci richiama a non cadere in schiavitù».

La risonanza che hanno avuto le celebrazioni in occasione del cinquecentenario dell’apertura del ghetto di Venezia, ha confermato la crescente attenzione negli ultimi decenni dell’opinione pubblica nei confronti dell’ebraismo: conferma questa percezione?
«Si, decisamente. È ovvio che quella è una data nefasta, da ricordare perché non si possa più ripetere una discriminazione simile. Il fatto che l’ebraismo non sia sparito, ma anche anzi si sia evoluto e abbia contribuito costantemente alla vita sociale, è la dimostrazione che anche di fronte a una discriminazione e prevaricazione si può giungere a condizioni migliori, forti della propria identità e cultura, senza cadere nella violenza».

La comunità ebraica padovana

La comunità ebraica di Padova è composta da 178 persone iscritte formalmente.
Degli iscritti un 35 per cento circa non vive a Padova (talora resta iscritto qui perché vi è nato); del restante 65 per cento non tutti sono partecipi alla vita comunitaria: sono effettivamente una settantina le persone che, con maggiore o minore costanza, corrispondono alle iniziative comunitarie tra cui il culto in sinagoga.
Dal punto di vista gerarchico, al vertice vi è un consiglio che elegge un presidente; a Padova esso è composto da tre persone, presidente incluso, Davide Romanin Jacur. Tale organismo ha il compito di rappresentare la comunità ebraica in città (nei comitati: del Giardino dei giusti, per le celebrazioni del Giorno della memoria e per la festa della Liberazione), promuovere attività di conoscenza della cultura ebraica (mediante percorsi al museo ebraico, conferenze tematiche, collaborazioni con le scuole e visite con gli studenti presso i campi di sterminio), gestire il patrimonio immobiliare (tra cui i cimiteri e alcune strutture di proprietà), coordinare i dipendenti.
Il consiglio, annualmente, indice un’assemblea aperta a tutti gli iscritti per l’approvazione del bilancio. In caso di problemi spinosi per la comunità, si convoca “la giunta” ossia il consiglio più qualche altro componente esperto in tali questioni.
Nella comunità sono state create inoltre alcune commissioni costituite da membri della comunità e su base volontaria, che collaborano con il consiglio occupandosi nello specifico di: tasse, cultura, attività di sensibilizzazione, museo ebraico.
Quest’ultimo, nato per iniziativa del consiglio e inaugurato il 21 giugno 2015, è già inserito nella rete museale della città e ha visto sino a oggi la presenza di oltre settemila visitatori.

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