Quel teatro dimenticato in cui Garibaldi si consolò dopo il celebre «obbedisco»

Sapevate che nella piazzetta della Garzeria, a due passi dal Pedrocchi, fino al '69 esisteva un celebre teatro? Più che al "generalissimo", il suo nome andrebbe accostato a Luigi Duse, suo fondatore e nonno della divina Eleonora. Eppure oggi non c'è nemmeno uno straccio di lapide a ricordarlo... Il volume di Roberto Cuppone ricostruisce 134 anni di successi, iniziati mettendo in scena il celebre Giacometo, divenuto “carattere” padovano.

Quel teatro dimenticato in cui Garibaldi si consolò dopo il celebre «obbedisco»

Non c’è più. Ormai da mezzo secolo. E in piazzetta della Garzeria, affacciata sul caffé Pedrocchi, non c’è nemmeno uno straccetto di lapide a ricordare i 134 anni di vita dell’anfiteatro Diurno, quindi Duse, poi teatro Sociale, quindi teatro Garibaldi e infine cinema con lo stesso nome. Nome, questo, che ricorda l’arrivo a Padova, duecento anni fa tra qualche giorno, del “generalissimo” delle camicie rosse.

Nel 1866, come ricorda il volume di Roberto Cuppone Il teatro Duse poi Garibaldi (Poligrafo, pp 136, euro 18,00), Garibaldi mandò da Bezzecca a Padova, al generale La Marmora, il celebre lapidario telegramma «Obbedisco», ponendo fine alle ostilità nei confronti dell’Austria. Per consolarsi della delusione, giunse quindi sul finire dell’estate in città e assistette, dal palco d’onore del Sociale, appena realizzato per Vittorio Emanuele II, all’Amleto di Shakespeare recitato da Ernesto Rossi.

In ricordo dell’avvenimento, due anni dopo, il teatro cambiò nome, e con quel nome, pur trasformato in cinematografo, morirà nel 1969, trasformato in supermercato. Oggi, più che all’eroe dei due mondi, sarebbe opportuno legare il ricordo della sala al suo fondatore, quel Luigi Duse chioggiotto attore, capocomico e impresario che, oltre ad essere il nonno della divina Eleonora, fu il creatore della maschera adottata negli anni Venti dell’Ottocento dagli studenti padovani come “carattere” cittadino: Giacometo.

Questa specie di burattino-tipofisso aveva esordito con successo a Padova e a Venezia, in rivalità con Ludro, creato dall’attore Francesco Augusto Bon, ispirati entrambi al Momolo goldoniano. Nel 1834 quindi Duse si decise a fare il gran passo e a realizzare a Padova, in un terreno preso in affitto per 500 lire, un anfiteatro popolare diurno a platea scoperta, di legno, con gradoni e due ordini di palchi, capace di un migliaio di posti. Il sipario, realizzato forse qualche anno dopo quando il teatro fu ristrutturato e coperto in modo da poter funzionare con ogni tempo e in ogni stagione, raffigurava il capocomico nei panni di Giacometo, attorniato dai suoi familiari attori, figli e nuore. Anche il repertorio fa spazio soprattutto alle produzioni drammatiche o goldoniane, spesso riadattate, della compagnia familiare, ma soprattutto alle farse del celebre “carattere”, che apriva o concludeva le serate arringando il pubblico interpretando “Il pazzo ragionevole”, “La prima donna tragica”, “Gigi undese”, parodia di quel re Luigi XI scritto da un autore francese e portato al successo in Italia da Gustavo Modena, altro capocomico con cui Luigi Duse di misurò.

Secondo Roberto Cuppone il “ghost writer” dei brogliacci messi in scena è il conte Giacomi Filippo Bonfìo, attore e commediografo di una certa fama, anche se non esiste un’edizione autonoma delle sue opere teatrali. Alla morte di Luigi, nel 1854, continuano a lavorare i figli Giorgio ed Eugenio. Nel 1862 il vecchio teatro diurno, acquistato da tre soci, diventa a tutti gli effetti un teatro coperto e assume il nome di Sociale che nel 1868 cambierà in Garibaldi. E nel 1896-97. a breve distanza dal debutto parigino, sarà proprio il Garibaldi a ospitare le prime proiezioni filmiche padovane, prima le “fotografie animate” di Edison, poi il primo spettacolo del cinematografo Lumière. Ma il cinema segnerà anche il lento declino della sala che avrà ancora qualche vampata di successo ma che, come si è detto, nel 1969 sarà demolita. 

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