F35. Già spesi 3,4 miliardi e i conti non tornano

Ogni singolo caccia costa circa 135 milioni. Se non dovesse essere messa in discussione la scelta di comprare tutti i 90 cacciabombardieri, l’Italia spenderà altri 10 miliardi nei prossimi 20 anni, mentre i dati smentiscono le promesse su occupazione e aziende italiane coinvolte. Vignarca (Rete disarmo): «Risorse vadano a lavoro, sviluppo e sanità».

F35. Già spesi 3,4 miliardi e i conti non tornano

«Il parlamento approvi documenti ufficiali e formali per la cancellazione del programma F35, le stesse risorse vadano alla sanità, allo sviluppo e al lavoro». Quasi in contemporanea con la formazione del nuovo governo italiano, la campagna “Taglia le ali alle armi” riprova a fermare il programma Joint Strike Fighter e lo fa presentando un nuovo dossier.
Per gli organizzatori della campagna, siamo ancora in tempo per fermare l’acquisto di altri cacciabombardieri ed «è possibile uscire dal programma senza alcuna penale da pagare, contrariamente a quanto sempre affermato da politici e funzionari della Difesa».

Un conto salato. Per gli F35, ad oggi l’Italia ha speso circa 3,4 miliardi di euro, ma se non dovesse essere messa in discussione la scelta di comprare tutti e 90 i cacciabombardieri, presa nel 2012 col governo Monti (che ha comunque ridotto il numero di F-35 dai 131 iniziali), l’Italia spenderà altri 10 miliardi di euro circa per i prossimi 20 anni. Cifra che potrebbe raggiungere gli oltre 52 miliardi considerando la gestione complessiva del programma. «Le armi non uccidono solo quando sparano – ha spiegato Francesco Vignarca, coordinatore della Rete italiana per il disarmo e portavoce della campagna – ma anche quando sono costruite, stoccate negli hangar e lasciate lì perché sottraggono risorse al lavoro, allo sviluppo e alla sanità».
Dopo il primo successo della campagna, con la riduzione di circa 40 esemplari operato dall’allora ministro alla Difesa, Giampaolo di Paola, non è calato l’interesse verso la vicenda e ad oggi si contano a oltre 80 mozioni ed ordini del giorno sul tema negli enti locali di tutta Italia. Una vicenda, quella del programma F35, che non ha convinto in tanti. «Lo scorso anno il Canada aveva azzerato la propria partecipazione facendo ripartire da capo la propria gara d’appalto – ha spiegato Vignarca – Quest’anno, invece, l’Olanda ha ridotto a 37 esemplari a partire dagli 85 pianificati». Ad alimentare i dubbi sul programma, anche diversi organismi d’oltreoceano, mentre in Italia è stata soprattutto «l’opacità nelle comunicazioni» ad alimentare il dibattito sugli effettivi costi e sulla reale necessità di tale programma.

I dubbi sui dati ufficiali. Oggi i dati finalmente ci sono, ha spiegato Vignarca, e «non si parla solo di stime ma di cifre già definite». Secondo il dossier, il costo di un singolo caccia si aggira intorno ai 135 milioni di euro, ma non sono soltanto i costi ad essere contestati. Dall’ombra escono anche quelli relativi al ritorno industriale e quello occupazionale. «I dati relativi al ritorno industriale, estrapolati da diverse fonti e confermati anche da Lockheed Martin, confermano ad oggi un rientro per le aziende del nostro paese di circa il 19 per cento in confronto all’investimento pubblico (meno di 700 milioni sui circa 3,4 miliardi già spesi)».
Non tornano neanche i dati forniti da Finmeccanica riguardo le società italiane coinvolte nel progetto. Secondo Finmeccanica erano circa 90, ma secondo i dati forniti direttamente da Lockheed Martin, le ditte con contratti attivi al momento sarebbero solo 14, mentre 26 sono le aziende ad oggi coinvolte. Poco credibili, infine, i già contestati 10 mila posti di lavoro che avrebbe dovuto creare il progetto. «Finmeccanica è passata da una stima di 3000/4000 addetti a una più realistica di circa 2500 (vicina a stime sindacali) – spiega il dossier – e parla di 5000 addetti solo se riferiti a una fase successiva alla produzione industriale». Secondo i dati di un recente documento riservato di Alenia Aermacchi, spiega inoltre il dosser, nello stabilimento di Camieri, dove verrà assemblato il caccia, «almeno fino al 2018 il totale degli addetti tecnici e impiegatizi non raggiungerà le 600 unità».

Gli F35 non riguardano insomma solo i pacifisti. Per Vignarca, il programma di acquisto degli F35 «non è solo una questione che riguarda i pacifisti: sono in gioco il modello di Difesa del nostro paese e le sue politiche di spesa militare, ma più in generale l’impostazione strategica che guida le scelte economico-finanziarie del governo e l'impiego delle risorse pubbliche in una fase di crisi economica e sociale drammatica che sta colpendo gran parte dei cittadini italiani». Interrogato sul futuro ministro alla Difesa da suggerire a Matteo Renzi, Vignarca non ha fatto alcun nome. «L’importante è che sia un ministro che non si occupi solo delle forze armate – ha affermato – ma anche di progetti come i Corpi civili che verranno sperimentati quest’anno. Difesa non vuol dire solo forze armate».

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Parole chiave: Vignarca (6), Rete disarmo (8), cacciabombardieri (1), Difesa (40), aereonautica (1), F35 (5), Renzi (141)
Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)