Il Pil si rafforza, ma il debito peggiora ancora

La fine dell’estate porta finalmente qualche buona notizia sul fronte dell’economia. Il prodotto interno lordo italiano nel secondo trimestre dell’anno è infatti aumentato dello 0,4 per cento rispetto al trimestre precedente. Numeri non straordinari, ma che fanno ben sperare per la seconda parte dell’anno e per il 2018. Non si arresta però la crescita del debito pubblico.

 Il Pil si rafforza, ma il debito peggiora ancora

La fine dell’estate porta finalmente qualche buona notizia sul fronte dell’economia.
Il prodotto interno lordo italiano nel secondo trimestre dell’anno è infatti aumentato dello 0,4 per cento rispetto al trimestre precedente (+1,5 per cento rispetto allo stesso trimestre del 2016). Numeri non straordinari, ma che fanno ben sperare per la seconda parte dell’anno e per il 2018: l’aumento tendenziale è inoltre il più alto registrato negli ultimi sei anni.

Il contributo principale, stando alle elaborazioni dell’Istat, è dovuto a industria e servizi, in calo invece l’agricoltura (2 miliardi di euro di danni nel 2017 a causa del clima).
La produzione industriale a giugno ha fatto registrare una crescita dell’1,1 per cento rispetto a maggio: incremento dell’1,1 per cento nel trimestre aprile-giugno 2017 rispetto ai tre mesi precedenti, +2,2 per cento considerando i dati del primo semestre 2017 rispetto allo stesso periodo del 2016. Proprio l’export dovrebbe garantire ancora una volta al sistema Paese il contributo più importante per il 2017.

Secondo gli analisti del centro di ricerca Ref,«la crescita di quest’anno si basa proprio sull’accelerazione delle esportazioni», con un pil che dovrebbe registrare nel 2017 un complessivo +1,3 per cento. Tra il 2016 e il 2020, nonostante i tanti fattori di incertezza del commercio mondiale, le esportazioni del made in Italy – dati Sace – dovrebbero crescere a un tasso medio annuo del 4 per cento contro l’1,7 per cento del quadriennio precedente.

Sono ancora “deboli” invece le prospettive per i consumi delle famiglie, e il solo export difficilmente potrà bastare per riattivare tutti i settori dell’economia. Numeri confortanti dunque ma che fanno permanere l’economia italiana ancora al di sotto dei livelli pre-crisi: rispetto a prima del 2008 il livello del pil resta inferiore di oltre il 6 per cento.

Discreti anche gli aggiornamenti per il mercato del lavoro: secondo gli ultimi dati dell’Istat di giugno il tasso di disoccupazione è sceso all’11,1 per cento, in calo di 0,2 punti percentuali rispetto a maggio, collocandosi ai livelli rilevati ad aprile (dati equivalenti a quelli dell’autunno 2012). A scendere è anche la disoccupazione tra i giovani dai 15 ai 24 anni, che si attesta al 35,4 per cento.
È ancora notevolmente complicato valutare gli effetti del Jobs act nel computo dei dati sull’occupazione: i possibili effetti della riforma del lavoro – al netto dei costi per gli incentivi – hanno infatti in parte “incrociato” la ripresa generale della manifattura italiana e delle esportazioni. Più dei numeri in questo caso valgono le migliaia di laureati che lasciano ogni anno l’Italia per cercare all’estero una occupazione in linea con il proprio percorso di studi.

La cavalcata del debito pubblico

Se la produzione industriale sembra come detto essersi “riavviata”, e l’occupazione mostra timidissimi segnali positivi, ciò che continua inesorabilmente a peggiorare è la contabilità del nostro debito pubblico.
Secondo quanto calcolato dalla Banca d’Italia, a giugno è stato pari a 2.281,4 miliardi, in aumento di 2,2 miliardi rispetto al mese precedente. Una tendenza inesorabile che ci espone ancora una volta a una campagna elettorale caratterizzata per forza di cosa anche dalle reazioni dei mercati internazionali, che a ogni scadenza elettorale si concentrano minacciosi sul nostro fardello sovrano.

Nella ripartizione della crescita di questo primo semestre dell’anno va detto che il “dinamismo” diffuso in – quasi – tutto il territorio nazionale non tocca però le regioni meridionali. Le aree del Centro Italia sono in crescita dell’8,7 per cento e quelle del Nordest dell’8,2 per cento. Solo uno striminzito +0,6 per cento la crescita dell’export delle regioni meridionali. Tra le regioni più virtuose nella classifica delle esportazioni: Lombardia (+8,6 per cento), Piemonte (+14,1 per cento), Emilia-Romagna (+8,9 per cento), Veneto (+7,1 per cento) e Toscana (+10,1 per cento). Quelle che forniscono un contributo negativo sono Basilicata (-10,5 per cento) e Molise (-53,4 per cento). E in autunno, con il referendum di Lombardia e Veneto, potrebbe riaffacciarsi come uno dei temi caldi della campagna elettorale proprio la nuova spinta autonomista delle regioni del Nord.

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