Più “mattone” e terziario, meno industria. Così la crisi ha cambiato Padova

Prima nel Veneto, nona in Italia. Con 26,7 miliardi di euro di “reddito lordo” nel 2015 la provincia di Padova vanta l’1,8 per cento della ricchezza nazionale. Una precisa radiografia dell’universo produttivo e imprenditoriale padovano è stata recentemente pubblicata dal centro studi della Camera di commercio: numeri incoraggianti, a prima vista. Tuttavia non mancano piccole sorprese e grandi occasioni di riflessione. A partire dal versante occupazionale, perché dal 2011 nel Padovano sono “evaporati” 10.180 posti di lavoro di cui 4 mila soltanto nel comparto industriale.

Più “mattone” e terziario, meno industria. Così la crisi ha cambiato Padova

Il rapporto "Conoscere Padova. I numeri dell’economia padovana" (che è attingibile senza problemi dal sito internet) ha fornito spunti di ottimismo, nella sua versione a beneficio della comunicazione istituzionale.
Il rapporto sintetizza – anche nel comunicato stampa – le cifre migliori. In particolare, i 108.284 insediamenti produttivi: «Padova è la prima provincia del Veneto per numero di imprese operative ed occupa il nono posto in Italia (il decimo, escludendo le attività agricole), con un totale di imprese industriali e terziarie che raggiunge le 76.778 unità). La dimensione è quella tipica del Nord Est italiano, con il 94,1 per cento di unità produttive con meno di nove addetti. E il fatturato complessivo delle società di capitali nel 2014 è stato di 36,6 miliardi di euro in prevalenza realizzato da società manifatturiere e commerciali».

Tuttavia, se con un po’ di pazienza si compulsa il voluminoso lavoro, non mancano piccole sorprese e grandi occasioni di riflessione. A partire dal versante occupazionale, perché dal 2011 nel Padovano sono “evaporati” 10.180 posti di lavoro di cui 4 mila soltanto nel comparto industriale.

Nell’arco di un lustro la crisi ha morso senza pietà, con la significativa eccezione dell’agricoltura che, in controtendenza, ha garantito 8.048 posti di lavoro rispetto ai 7.864 di cinque anni prima.
L’occupazione nella nostra provincia, di fatto, è tornata ai livelli del 2001, “salvata” in buona sostanza dal terziario che ha assorbito da allora il contraccolpo “europeo” sulla vecchia struttura produttiva.
E all’interno del rapporto spicca il trend delle imprese individuali attive, che equivalgono al 53,6 per cento del totale. Rappresentano il mitologico stereotipo del fai-da-te, il sintomo di un’economia fondata appunto sull’individualismo e l’eredità di un “modello” molecolare anche nell’autosfruttamento.
Ebbene nel 2009, all’inizio della grande crisi, i registri della Camera di commercio ne contavano 57.053, di cui 15.113 nell’industria e 16.819 nel commercio. Un anno fa la statistica si è chiusa a quota 51.932 con il comparto delle fabbriche di vario tipo a 13.355 e il commercio a 17.094.

Il “tasso di crescita” dell’ultimo anno, del resto, conferma anche la metamorfosi dell’imprenditorialità.
Rispetto al 2014, crescono a due cifre soltanto i settori dell’energia (18,4 per cento ma con un basso numero di aziende) e dei servizi socio-sanitari (10,4 per cento). Si fa business sussidiario nelle reti idriche e rifiuti (7,4 per cento) oppure a sostegno delle imprese (6,8 per cento) e nelle attività finanziarie (4,3 per cento). Ma sintomatici sono i segni negativi delle statistiche di piazza Insurrezione, a cominciare dal meno 30 per cento delle “imprese non classificate” per finire al meno 4 per cento del settore istruzione.
Ancora: la manifattura vera e propria nel Padovano evidenzia un profilo preciso grazie alla contabilità statistica. Sono 750 le aziende di meccanica generale, 661 specializzate in abbigliamento, 580 in strutture metalliche e assemblate, 531 in porte e finestre in legno, 480 in sedie poltrone, 437 in altri prodotti metallo, 401 mobilifici generici.

Il rapporto della Camera di commercio certifica poi le certezze sul terziario, spina dorsale dell’economia. E i numeri parlano da soli, nel qualificare la vocazione fondamentale di un territorio che conta più sulla rendita del “mattone” che non sul lavoro in sé: 2.751 bar, 2.780 esercizi di ristorazione, 3.116 società di affitto e gestione di immobili, 2.668 compravendita immobiliare, 2.323 ditte di trasporti su strada e 2.388 parrucchieri estetica.

Il commercio al dettaglio conta, invece, 13.725 unità attive.
Davvero impressionante si dimostra l’identikit della grande distribuzione: 25 grandi magazzini occupano 49.691 metri quadri e hanno 379 addetti; 222 supermercati con una superficie di 209.600 metri quadri e 3.492 dipendenti; 13 ipermercati per altri 60.833 metri quadri e 1.483 lavoratori. Padova è la seconda provincia del Veneto (dopo Vicenza) per densità di mega-strutture e la terza nella “classifica” delle superfici destinate a questo genere di vendita.

Merita altrettanta attenzione il “ciclo del cemento”.
Nasce dalle cave, passa attraverso gli impianti produttivi della Bassa, coinvolge la pianificazione urbanistica dei comuni, alimenta i professionisti del ramo e culmina fra cantieri, agenzie e banche.
Nel 2015, si segnalano 9.605 imprese specializzate in lavori di costruzione (oltre 18 mila addetti) insieme ad altre 4.301 imprese edili (6.967 addetti). Balza però subito agli occhi il dato che riguarda le attività immobiliari: 6.798 “imprese” con appena 3.891 addetti.

E dai numeri pubblicati dalla Camera di commercio emerge clamorosamente un fatto su cui meditare. Gli imprenditori stranieri censiti nel territorio ammontano a 7.973, di cui ben 5.100 titolari dell’azienda.

Quasi il 28 per cento sono cinesi: una realtà radicata, in crescita, “concorrenziale”.
China in Padova sembra proprio essere una sorta di marchio di fabbrica del futuro. Se non altro perché già siamo la sesta provincia “pechinese” d’Italia…

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