Se il digitale si "mangia" il lavoro

La rivoluzione digitale sta “mettendo in crisi” numerose professioni che saranno presto sostituite dalla tecnologia, ma l’impasse dovrebbe essere superata non appena si creeranno nuove occupazioni e i lavoratori si aggiorneranno. Così è più il lavoro che velocemente è stato distrutto di quanto ne sia creato, sebbene i pc siano stati, fin dagli anni Ottanta, compagni di lavoro indispensabili.

Se il digitale si "mangia" il lavoro

Una delle principali vittime dell’attuale crisi economica è senz’altro la classe media. Non per niente, la causa della perdurante stagnazione dei consumi viene in larga misura individuata, oltre che nella pressione fiscale, nell’incertezza retributiva e occupazionale che continua a gravare sul ceto impiegatizio.

Ma chi è che si “diverte” a tenere sulla graticola soggetti per natura poco avventurosi come i lavoratori da ufficio? Da anni si punta il dito contro globalizzazione e speculazioni, che esenti da responsabilità certo non sono. Ma se non fossero le uniche colpevoli? Se c’entrassero anche le “macchine”, da sempre accusate, a torto o a ragione, di rubare il pane ai cristiani? Nello specifico ci riferiamo a quella macchina un po’ paradossale, tanto presente quanto immateriale, che è internet, con tutto l’esercito di “diavolerie” digitali che ci va dietro. Un mix tecnologico che offre alle aziende non solo nuove opportunità commerciali, ma anche soluzioni inedite per alleggerire e velocizzare numerosi processi amministrativi. Non necessariamente favorevoli ai lavoratori: i tablet incalzano le segretarie, i cloud sono pronti a mandare in soffitta archivisti e passacarte. L’esito della battaglia sembra segnato. Stupisce, semmai, che a portare le information and communication technologies (Ict) sul banco degli imputati sia addirittura la Mit technology review, cioè la rivista del prestigioso Massachusetts institute of technology di Boston, la mecca dell’innovazione digitale.

«L’automazione e le tecnologie d’avanguardia stanno progressivamente riducendo la necessità di manodopera per molte mansioni ripetitive negli uffici e nel sistema dei servizi professionali. Abbiamo già metabolizzato numerose rivoluzioni tecnologiche, ma questa volta sembra davvero qualcosa di nuovo» si legge in un recente articolo del direttore David Rotman, pubblicato anche nell’edizione italiana. Nella sua lunga requisitoria Rotman cita gli studi di diversi economisti: sugli effettivi “misfatti” delle Ict – è bene dirlo subito – mancano dati certi e unanimità di consensi. Il quadro che emerge, tuttavia, è a tinte fosche e non può essere ignorato, perché ipotizza un futuro in declino per numerose mansioni. Anche in settori apparentemente ben protetti: legale, finanziario, medico, formativo...

Sarebbe in atto un cambiamento subdolo: meno eclatante della robotizzazione delle fabbriche, ma con un impatto sull’occupazione ancora più serio. La rivoluzione digitale, in sostanza, avrebbe distrutto lavoro più velocemente di quanto ne abbia creato. Contribuendo, nei paesi economicamente avanzati, alla stagnazione dei redditi medi e alla crescita delle diseguaglianze. Eppure, fin dagli anni Ottanta i computer sono stati per gli impiegati compagni di lavoro indispensabili. Hanno anche aiutato a posizionarsi su una fascia retributiva superiore quei professionisti capaci di risolvere particolari problemi e cavalcare idee creative. I lavoratori poco qualificati, come camerieri e assistenti alla persona, si sono invece dovuti accontentare di stipendi più bassi. «Oggi – continua l’articolo – l’accelerazione tecnologica ha allargato la distanza tra vincenti e perdenti in campo economico, cioè il loro divario salariale. I due estremi si allontano e tutto quello che è in mezzo sembra scomparire».

Tutto è perduto, quindi, per chi lavora in ufficio? «Guardando alla storia – conclude Rotman – lo shock dovrebbe essere passeggero, per quanto doloroso. Non appena i lavoratori aggiorneranno le loro capacità e gli imprenditori creeranno lavoro basato sulle nuove tecnologie, l’occupazione risalirà. Molto dipenderà dalla consapevolezza del problema e dalla capacità di investire più risorse in formazione professionale e istruzione».

Nel numero in distribuzione e disponibile on line da domani un ampio speciale economico.

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