Zanardi: il lavoro viene prima del capitale

Storia di un'azienda risorta dalle sue stesse ceneri. Per salvaguardare il posto, i lavoratori hanno investito la propria “mobilità”. Le difficoltà con i sindacati, le lentezze della burocrazia e i silenzi della politica. La situazione è migliorata: le commesse non mancano, produttività in crescita.

Zanardi: il lavoro viene prima del capitale

A percorrere la strada lungo la sede che ospita la Zanardi, in via Venezuela, zona industriale di Padova, ci si mette del tempo; un lungo edificio colorato, che ancor oggi dà il senso di un’azienda grande e potente. Come di fatto lo è stata, almeno fino a qualche anno fa, quando le cose hanno cominciato a non andare per nulla bene. Forse qualche scelta un po’ azzardata, le conseguenti difficoltà finanziarie, la crisi che ha stritolato e messo alle corde quella che fino al 2009 era una della ditte leader nel settore della stampa e della legatoria (di pregio), che riusciva a lavorare molto anche con l’estero.

Questa è la preistoria, poi è accaduto un fatto tragico (la morte nel febbraio del 2014 di uno dei tre fratelli titolari dell’impresa), che ha segnato un punto di svolta, l’inizio della vicenda più recente, nuova, inedita, non del tutto originale ma che può essere di fatto inserita nel numero ristretto di pochi “casi aziendali”.

Quando Giorgio Zanardi si tolse la vita, il gruppo, indebitato di circa 25 milioni di euro, era già in regime di concordato, chiesto e ottenuto a gennaio, praticamente nella mani del tribunale. A quel punto non restavano che tre possibilità: la liquidazione della ditta, vale a dire la sua scomparsa, il recupero, magari attraverso la cessione di tutta l’azienda o di un suo ramo, o l’iniziativa dei lavoratori, oltre un centinaio, che potevano proporsi di subentrare alla proprietà, attraverso la costituzione di una cooperativa. Non c’erano altre strade.

Quella “giudiziaria” non ammetteva molti margini di trattativa, la sorte della Zanardi avrebbe seguito i ritmi e le procedure della legge, che avrebbero portato alla fine; il reperimento di eventuali acquirenti apparve subito difficile: vi fu qualche contatto, ma nessuno si rese disponibile a farsi carico di una situazione che più che un affare appariva una “rogna”. A quel punto entrarono in campo i lavoratori.

Mario Grillo, manager di origini friulane, era capitato da queste parti coinvolto da un’amica consulente del lavoro; non aveva esperienza specifica nel settore librario, quello appunto della Zanardi, avendo maturato la proprio vita professionale da ingegnere elettronico (ma ben presto orientata a ruoli di gestione) in altre tipologie di aziende, dall’Electrolux a Veneto Cucine. Si accorse subito che non c’era che una alternativa: chiedere ai dipendenti se erano disponibili a rischiare. Sia chiaro: non si trattava soltanto di mettere a disposizione tempo e lavoro, bisognava andare oltre, investire anche dei quattrini, quel piccolo patrimonio residuale (dai 10 ai 30 mila euro) che toccava a ciascuno come contributo alla personale mobilità occupazionale.

Un rischio, perché se le cose non fossero andate nel verso giusto, operai e impiegati si sarebbero trovati a zero, senza più nulla. Eppure non c’era alternativa e il 70 per cento dei lavoratori decise che, pur di salvare la prospettiva del posto, valeva la pena di rischiare; così alla fine, dopo qualche mese di questa prima, tormentata, fase, dei 105 occupati della Zanardi dei bei tempi, ne sono rimasti 24; alcuni se ne sono andati, altri hanno preferito aspettare. Lo zoccolo duro scelse che la cooperativa era la via giusta da percorrere per tentare di rimettere in piedi la ditta.

«Allora i nostri interlocutori erano tre – spiega l’ingegnere Grillo – la “procedura” di concordato, con le sue regole, il tribunale e i sindacati. Per i gestori della pratica il problema maggiore era rappresentato dal rispetto delle norme, dell’iter burocratico; in quanto ai rappresentanti dei lavoratori il nodo era politico, di relazioni industriali». «Di fatto – aggiunge Grillo – nel tempo di avvio la criticità spesso è stata soprattutto proprio nel rapporto con i sindacati, che hanno dato l’impressione di non capire bene che cosa stesse succedendo: talora (soprattutto la Cisl) si sono mossi secondo lo schema rigido che prevede il titolare e i lavoratori, non cogliendo che invece la questione qui era completamente diversa e che al centro degli interessi andava collocata l’impresa e la sua sopravvivenza. L’azienda era il grande bene comune da tutelare. Alla fine sono stati i lavoratori stessi che hanno capito tale inadeguatezza: infatti oggi in Zanardi i sindacati praticamente non esistono più».

Naturalmente, al di là del tribunale e delle procedure, c’erano altri interlocutori; la politica ad esempio. «Assente. Neppure Flavio Zanonato, allora ministro, dopo un iniziale interessamento, ci ha dato una mano. Degli altri, nessuna notizia, tranne una disponibilità di un rappresentante del Movimento cinque stelle».

Le banche?
«Non ci hanno neppure degnato dell’ascolto: abbiamo trovato un riferimento concreto soltanto in Banca etica».

Gli enti, le amministrazioni locali?
«La provincia ha seguito da vicino la nostra vicenda; la regione, tramite Veneto sviluppo, ha messo 200 mila euro nel capitale sociale; poi abbiamo potuto contare sull’appoggio di Legacoop. Anche l’Inps si è impegnata per essere tempestiva, non è poco».

Insomma, avete fatto tutto da soli.
«Quasi. Soprattutto abbiamo dovuto reinventarci, anche professionalmente. Questa della Zanardi alla fine è la storia della rivincita del lavoro sul capitale (secondo uno schema forse un po’ desueto): chi opera concretamente nell’impresa si è preso la proprietà della ditta».

Vantaggi e limiti?
«I fatti positivi sono sostanzialmente tre: la partecipazione dei lavoratori alla scelte e alla gestione dell’impresa; il controllo condiviso su come si vive in azienda (fatto che ha rilevanza forte in tema di flessibilità e produttività), l’impossibilità da parte della ditta di imbarcarsi in pericolose avventure finanziarie. I lavoratori ora vivono l’impresa come un fatto proprio e ne sono totalmente coinvolti. I limiti? Acquisire continuamente una crescita culturale all’insegna dell’organizzazione e della responsabilità: paiono frasi fatte, ma qui, in cooperativa, è un tema decisivo». Va anche detto che nella cooperativa della Zanardi i lavoratori guadagnano circa il 30 per cento in meno di prima; ma nessuno pare badarci; così come non conta molto l’orario: agosto nella grande legatoria è stato un mese di impegno e fatica; ci si è fermati soltanto a ferragosto, perché c’era in ballo una commessa “gigantesca”, da milioni di copie di libri.

La domanda finale è una sola: un modello esportabile?
«Sicuramente – chiude l’ingegnere Grillo – anche se non indolore, come tutto ciò che è nuovo».

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