Cose vecchie e cose nuove: viviamole con speranza

Viviamo la tensione tra un “non più”, cioè un modello di parrocchia e pastorale ereditato dal dopoguerra e che ha funzionato fino a un quarto d’ora fa, e il “non ancora”, cioè un “modello”, una struttura di parrocchia e pastorale che non abbiamo ancora individuato e sperimentato in modo soddisfacente. Una sorta di “limbo” in cui ci rendiamo conto che tante cose “non funzionano più”… ma non abbiamo ancora la ricetta strutturale che risolva

Cose vecchie e cose nuove: viviamole con speranza

Innanzitutto devo spiegare il perchè del titoletto di questa rubrica: “Tra il non più e il non ancora”... In teologia si studia la tensione tra il “già” e il “non ancora”  (la salvezza, il Regno sono già qui, ma non ancora compiuti definitvamente). Pensando al nostro tempo di crisi e di cambio necessario e auspicato mi viene in mente che la tensione che viviamo è tra un “non più”, cioè un modello di parrocchia e pastorale ereditato dal dopoguerra e che ha funzionato fino a un quarto d’ora fa, e il “non ancora”, cioè un “modello”, una struttura di parrocchia e pastorale che non abbiamo ancora individuato e sperimentato in modo soddisfacente. Una sorta di “limbo” in cui ci rendiamo conto che tante cose “non funzionano più”… ma non abbiamo ancora la ricetta strutturale che risolva.

Tornando dalla missione ogni tanto mi sorprendo nel ritrovare alcuni sapori che da anni non provavo (castagne, cachi, scamorza, quella certa torta salata della mamma…). Cose che per la maggioranza sono “normali” ma che per me, nel ritrovarle, sono straordinarie. Ritrovo con piacere anche delle espressioni che da anni non sentivo. Forse vi farà sorridere (soprattutto a Sara, Martina, Caterina, mie amiche prof di lettere), ma mi fa piacere sentire qualcuno che usa “eppure”, “poc’anzi”, “inoltre”, “orsono”, “nonchè e giacchè”. Mi son fermato ad assaporare l’avverbio “intanto” con suo fratello “nel frattempo”... Mi sembrano parole che descrivono, purtroppo, questo nostro momento: siamo un po’ in un “intanto o frattempo” della storia.

Molte delle richieste e questioni che in questo primo mese in unità pastorale vedo, sento e cerco di capire come risolvere, sono un po’ dei “tacconi”, delle toppe. Si vede uno strappetto e si cerca di metterci una pezza già che l’urgenza ci impone risposte immediate. Dalla questione se aumentare la retta della tal scuola dell’infanzia, alla convenzione per gli spogliatoi del campo da pallone con la società sportiva; dalla scelta del gestore telefonico più conveniente, al come pagare la rata del mutuo; da chi accompagna la formazione dei genitori dell’iniziazione cristiana, al tal edificio dentro o fuori norma... Siccome non si riesce ad affrontare la questione “parrocchia” nel suo complesso e il panorama complessivo ci sfugge, intanto risolviamo le piccole questioni urgenti.

In queste ultime settimane ho già vissuto, nel piccolo della mia esperienza di parroco moderatore, la tentazione dello scoramento e di mandare tutto e tutti a ramengo! La tentazione di “ridurre” le cose che si sono sempre fatte, senza mettermi a cambiare schema “mentale e pastorale”, e la tentazione della semplicità o, meglio, semplificazione... Ma forse la tentazione cui cerco di resistere di più è quella di lasciar che il tempo passi... e intanto gestire questo “frattempo” finché qualcuno non trovi la bacchetta magica giusta o il Signore ci illumini con qualche chilo di Spirito Santo in più.

Per non cadere nel fatalismo o nello sconforto mi aggrappo alla speranza... e mi fisso su un’immagine.

Se è brutto tempo e non si vede niente o non sei allenato puoi dire: ora non si può scalare, intanto stiamo a letto... Oppure: ora non si può scalare, intanto alleniamoci, prepariamo il materiale, studiamo il percorso. Sento importante coltivare interiormente un atteggiamento di speranza: il “magari” più che l’“ormai”. In 11 anni di spagnolo in Ecuador non sono mai riuscito a tradurre l’avverbio “ormai”... ma spessissimo ho usato “ojalà” cioè “magari-chissà che-speriamo che” (mi pare l’hoffentlich tedesco che potremmo rendere con “sperabilmente”). “Ormai” ha un che di definitivo e ineluttabile («ora non si può fare» è diverso da «ormai non si può fare»).

Cosa mettere nello zaino in questo “intanto” della pastorale?

Mi vengono in mente alcune provocazioni, ma aiutatemi ad aggiungere altre cose nel nostro “zaino pastorale”: il confronto tra tutti su questi temi; magari un sinodo (non solo dei giovani, ma dei consigli pastorali e degli uffici di curia) per chiarire l’orizzonte e scelte pastorali comuni; momenti per metabolizzare di più l’importanza del popolo di Dio più che della “gerarchia” e la corresponsabilità di laici, preti, religiosi/e; la formazione alla progettazione pastorale, imparare a far verifica, a gestire le riunioni...

Che il Signore ci aiuti a tirar fuori dal tesoro del Suo Amore e Creatività cose vecchie e cose nuove (Mt 13, 52) per rispondere con speranza a questi “intanto” della storia che siamo chiamati a vivere.

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