Dal “caso San Lazzaro” la spinta a un vero confronto

Don Moreno Bagarella, parroco a Mellaredo e Rivale, ha scritto nei giorni scorsi al nostro gionale per condividere la sua riflessione, allargata anche alle famiglie delle sue due comunità, scaturita dai fatti legati alla vicenda di don Contin e della parrocchia di San Lazzaro.  Tra le altre cose, don Moreno si chiede: «Dobbiamo proprio difenderci o dobbiamo ringraziare chi fa emergere le ferite di una umanità che sta dentro di noi e che a volte stride con il compito sacro che abbiamo da svolgere? Oppure riteniamo di essere al di sopra del popolo e possiamo crearci un perdono ad hoc, il privilegio di un potere consacrato?»

Dal “caso San Lazzaro” la spinta a un vero confronto

Gentile direttore,

ho apprezzato i suoi interventi inerenti ai fatti conosciuti di don Andrea Contin e anche la serietà con cui si è cercato di arginare la morbosità mediatica attraverso il nostro settimanale.

Le scrivo non tanto per esprimere una opinione, come hanno fatto tanti con la lettera ma vorrei, se mi permette e se ha il coraggio di pubblicare anche questa mia, di manifestare a lei, al vescovo e alla chiesa di Padova alcune mie riflessioni maturate dopo silenzio, preghiera e confronto.

Premetto anzitutto che la lettera del vescovo del 22 gennaio scorso rivolta alle nostre comunità non l’ho letta in chiesa ma l’ho commentata e spedita a ogni singola famiglia. Non perché non fosse condivisibile (anzi) ma per un coinvolgimento di tutta la comunità e non solo di quelli che vengono a messa, e anche per smorzare il tono dell’atteggiamento di difesa che in quel momento mi sembrava prevalere nella chiesa padovana: la paura di perdere la faccia, la fiducia, la stima del popolo.

È proprio questo il punto che mi ha fatto riflettere: è possibile che noi chiesa viviamo questi fatti solo come una perdita di credibilità e non come una occasione per riflettere più profondamente su quello che viviamo e su quello che siamo in rapporto a questa società? In altre parole, la situazione di scandalo che si è verificata non è la prima nella nostra diocesi; forse la più grave in ordine morale. Altre situazioni hanno coinvolto sacerdoti e laici: ma non ci hanno insegnato niente, se non l’indignazione, la pietà o l’indifferenza. Senza parlare poi che oggi allo scoperto vengono fuori (anche grazie alla solerzia dei mass media) tante altre situazioni nella chiesa che mettono in evidenza la fragilità di noi sacerdoti.

Allora io mi domando e domando a tutto il mio presbiterio: dobbiamo proprio difenderci o dobbiamo ringraziare chi fa emergere le ferite di una umanità che sta dentro di noi e che a volte stride con il compito sacro che abbiamo da svolgere? Oppure riteniamo di essere al di sopra del popolo e possiamo crearci un perdono ad hoc, il privilegio di un potere consacrato?

E quale immagine di chiesa stiamo dando a questo mondo assetato di apparenza? Penso che tutti i sacerdoti, come i laici, che sbagliano possono trovare il perdono (e la cura se sono malati), ma sarebbe meglio avere il coraggio di toccare alcune corde umane spesso lasciate al coperto:

  • la formazione dei presbiteri nell’aspetto affettivo e umano, 
  • la cura delle situazioni di solitudine e di disagio dei preti giovani o meno giovani, 
  • la presenza della donna nella nostra pastorale, 
  • l’apporto dei preti sposati o “usciti” dal presbiterio, 
  • la scelta del celibato stesso per il sacerdote. 

Mi rendo conto che sono tutti temi delicati e che possono scatenare reazioni contrastanti all’interno del presbiterio stesso. Ma invoco lo spirito dei “segni dei tempi”, il coraggio profetico della chiesa, che è sempre reformanda e purificanda, la ricchezza della nostra chiesa stessa di Padova che ha in sé le energie e le capacità di meditare e di trasformare i fatti “scandalistici” in avvenimenti di grazia e di rinnovamento.

Faccio appello al nostro vescovo, che ha saputo gestire con sincerità e verità evangelica la questione San Lazzaro, perché dia una occasione di vero confronto tra preti e laici su questi argomenti spinosi, magari con un sinodo diocesano. So che i laici, che amano la chiesa e i loro preti, saranno i primi a capire, a incoraggiare e ad aiutare il presbiterio su questo sentiero che alla fine non è altro che un delicato equilibrio tra la nostra umanità e il servizio sacerdotale a cui siamo chiamati come chiesa.

Forse non arriveremo, per ora , a far “sposare i preti” (dovrebbe partire prima papa Francesco!) ma potremmo trasmettere una realtà di chiesa più umana, più attenta ai problemi di oggi, più ministeriale e forse più ecumenica. Mi sbaglio, o sarebbe quella del concilio Vaticano II?

don Moreno Bagarella
parroco di Mellaredo e Rivale

Grazie per l’apprezzamento. Non è questione di coraggio pubblicare la sua lettera, ma di voglia di aiutare, per quanto possibile e secondo il nostro stile, una riflessione che mi pare la chiesa di Padova abbia iniziato nel modo giusto. Che è quello di aprire un confronto, franco, a più voci e, mi auguro, questo sì davvero coraggioso. (G. F.)

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