Dietro l'alluvione, una terra ferita

Quando lo scorso 25 gennaio il capo della Protezione civile Franco Gabrielli si è recato a Modena, in visita alle zone già colpite dal terremoto e poi alluvionate, si è lasciato andare a un’ammissione sconsolata e imbarazzante: «il fondo di protezione civile è già esaurito, e io di emergenze ne ho attualmente in gestione dodici».

Dietro l'alluvione, una terra ferita

La nostra gente che in questi giorni è stata sfollata, con i primi piani delle case allagati, si metta dunque l’animo in pace: questa Italia ridotta a un colabrodo non ha soldi, e nemmeno un’idea precisa di come porre rimedio a una situazione che ormai dovremmo abituarci a considerare endemica. Le alluvioni per il nostro territorio non sono una calamità eccezionale, ma una costante: dopo quella del novembre 2010, siamo andati sott’acqua con puntualità ogni manciata di mesi, fino all’ultima emergenza della scorsa primavera.

Un piano Marshall per l'ambiente?
Con la stessa frequenza, anche da queste pagine, ripetiamo le medesime considerazioni, frutto di un pizzico di buon senso e dell’ascolto di chi il territorio lo studia. E con la stessa frequenza registriamo le dichiarazioni d’intenti della nostra classe politica, di qualsiasi orientamento e colore, all’indomani di ogni evento tragico. Quest’anno va di moda invocare una sorta di piano Marshall per il territorio: prima del governatore Zaia, lo aveva fatto l’ex ministro dell’ambiente Corrado Clini immaginando un investimento di 40 miliardi di euro in 15 anni per mettere mano all’intera rete di infrastrutture, vecchie – quando va bene – di almeno un secolo. Giusto, anzi doveroso e improcrastinabile. Ma temiamo che, anche questa volta, non se ne farà nulla: perché i soldi non ci sono, e perché anche se ci fossero la nostra politica riesce con fatica a guardare al prossimo anno e alle prossime elezioni. Pianificare il futuro, lasciando che altri ne raccolgano i frutti, non sembra appartenerle più.

Un territorio mortificato dal cemento 
Ma non c’è soluzione tecnica, per quanto efficiente e costosa, che basti da sola, perché è nel rapporto quotidiano tra l’uomo e il territorio che si gioca la vera sicurezza. Da questo punto di vista l’ultima, feroce, discussione sul piano casa della regione è emblematica: da un lato si proclama che si è già costruito troppo e che il futuro passa per il restauro, i modesti ampliamenti e l’efficienza energetica; dall’altro poi si definisce “ampliamento” di un immobile una nuova costruzione distante fino a 200 metri, anche in terreno agricolo.
Giochi verbali di prestigio, che i sindaci hanno duramente contestato sentendosi espropriati del potere di gestione del territorio; quello di cui tuttavia – teniamo anche questo a mente – hanno usato e abusato per riempire le nostre città e paesi di piccole zone industriali, di mediocri palazzine, di scheletri di capannoni rimasti invenduti e di piani urbanistici che ancora prevedono altri milioni di metri cubi di cemento. e questo è lo scenario, non prendiamocela per qualche giorno di pioggia intensa. Facciamo le casse di espansione lungo il corso dei fiumi, puliamo i canali, rinforziamo gli argini. Ma troviamo il coraggio di fermare la cementificazione del territorio, valorizziamo l’opera di tutela svolta dagli agricoltori, investiamo in prevenzione quel che poi siamo costretti a spendere comunque per far fronte ai danni.
Soprattutto, ripensiamo radicalmente il modo in cui abitiamo la porzione di pianeta che ci è stata data in custodia e che abbiamo mortificato, svilito, sfruttato senza lungimiranza per troppi anni. Non illudiamoci: mentre siamo immersi nell’emergenza di oggi, una nuova alluvione è già alle porte col suo carico di tragedie. Se ci limitiamo a tappare qualche falla, per poi tornare a litigare sui piani regolatori o a fare meschini calcoli sul tornaconto elettorale, ci troverà ancora una volta impreparati. E ogni volta più colpevoli di quella precedente.

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Parole chiave: acqua (15), consumo di suolo (9), piano casa (1), Alluvione (15), cementificazione (14), Regione Veneto (39)