Esercizi di stile. Sono le divisioni interne a indebolirci

Anania e Saffira, con la loro storia di inganno e menzogna, parlano anche oggi alle nostre comunità. Il messaggio centrale di questo brano non è che Dio punisce il malvagio; ma che la menzogna, la falsità, l’inganno, corrodono la comunità dal di dentro e pian piano la fanno morire.

Esercizi di stile. Sono le divisioni interne a indebolirci

Ci ho ripensato più di una volta in queste settimane e mi è venuto il dubbio che cominciare a leggere gli Atti degli apostoli con il capitolo secondo non sia stata la scelta migliore.
Perché un mese fa vi ho proposto di ammirare una comunità bellissima, dorata, in cui tutti sono contenti, tutti sono uniti; tutti pregano, spezzano il pane, stanno insieme, condividono ogni cosa volentieri; vanno perfino volentieri ad ascoltare le prediche degli apostoli...
Questa non è una comunità normale, verrebbe da dire! È troppo perfetta, troppo bella. E se poi aggiungiamo i ricordi dell’Acierrissimo (un amico mi ha corretto, in realtà devo aver confuso l’Acierrissimo con il Chierichettissimo; comunque non cambia la sostanza) rischiamo che ci afferri la tristezza al pensiero che oggi non è (più) così.

Non ci sono più le folle immense di una volta. E se guardo la mia comunità la trovo imperfetta, perché ne conosco fin troppo bene tutti i difetti, uno a uno.
Il rischio “nostalgia di un tempo che non c’è più” è alto, quando si leggono le pagine luminose del libro degli Atti.

Per questo oggi dobbiamo (e sottolineo il verbo: dobbiamo) leggere l’inizio del capitolo quinto degli Atti degli apostoli, quello in cui si racconta la vicenda di Anania e Saffira (At 5,1-11).

È una pagina inquietante, difficile da digerire ma molto nutriente.

C’è scritto che un giorno due coniugi, di nome Anania (lui) e Saffira (lei), decidono di fare come facevano molti: vendono una loro proprietà e portano il ricavato ai piedi degli apostoli, come atto generoso di condivisione. Però c’è l’inganno: dicono di aver portato tutto, mentre in realtà hanno trattenuto per sé una parte del guadagno. Hanno fatto finta di essere più generosi di quel che erano stati in pratica. Peccato veniale? Il succo del brano è che si tratta di un peccato grave, anzi gravissimo. Il racconto degli Atti, infatti, ci fa immaginare tutta la comunità riunita e Pietro che smaschera i due davanti a tutti; e non appena l’inganno viene scoperto, ecco che cadono a terra e muoiono sul colpo!

A scanso di equivoci, va detto chiaramente che la morte non è la punizione di Dio per il peccato commesso.

È scritto solo che, dopo essere stati smascherati, sono morti; non si dice che Dio li ha uccisi (lo sottolineo perché a volte il brano viene erroneamente interpretato così). Il messaggio centrale di questo brano non è che Dio punisce il malvagio; ma che la menzogna, la falsità, l’inganno, la calunnia, la mormorazione… tutto ciò che va contro la fiducia reciproca non può essere derubricato troppo velocemente a peccato veniale, perché corrode la comunità dal di dentro e pian piano la fa morire.

Leggendo il libro degli Atti vediamo che le persecuzioni che provengono dall’esterno, paradossalmente, rendono più forte la comunità; invece le divisioni interne la indeboliscono. Se non ci si può più fidare gli uni degli altri, se siamo costretti a guardarci le spalle anche quando stiamo tra di noi, la nostra comunità si sgonfia, si accascia e rimane a terra.

Il libro degli Atti non è uno scritto di regime; non presenta solo le vittorie, ma racconta pure le sconfitte, e la morte di Anania e Saffira è una delle più brutte. Anche le pagine poco edificanti della nostra storia ci fanno crescere, se le leggiamo come un invito a capire dove abbiamo sbagliato, che cosa non ha funzionato (è il ruolo svolto da Pietro, nel racconto di At 5,1-11). Anche questo è un esercizio di stile; non perché vogliamo essere perfetti, ma perché ci sta a cuore che sia più luminoso il volto della chiesa.

Carlo Broccardo

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