La politica, il Pd, la scissione. La pluralità non è pluralismo

«La scissione sarebbe un atto incomprensibile e dobbiamo scongiurarla. È compito di ciascuno fare il massimo sforzo per salvare l’unità del Pd». Questo più o meno il tono dell'appello lanciato da vari segretari regionali alla vigilia della scissione nazionale. Sono state anche avanzate proposte concrete di mediazione imperniate su un confronto programmatico che consentisse di ridefinire il profilo politico e valoriale del partito. Non hanno trovato ascolto. E così il partito si è diviso ed è nato un nuovo movimento, l’Mdp, il Movimento democratici e progressisti, che anche a Padova non solo ha raccolto i suoi adepti, ma ha determinato a catena una serie di ulteriori divisioni all’interno del Pd, dove renziani e bersaniani, laici e cattolici, non sembrano tuttora in grado di ritrovare l’unità perduta.

La politica, il Pd, la scissione. La pluralità non è pluralismo

La mia riflessione sulla divisione del Pd non è mossa, chiariamolo subito, da un interesse partitico. Non mi interessa il Pd in quanto partito, ma in quanto emblema di una politica nazionale e locale che non trova un riferimento etico.
O se lo trova lo utilizza come il classico specchietto per le allodole che riflette l’azzurro splendente del cielo, ma per distrarre più che altro lo sguardo dalle vicende certo meno splendenti della terra. Più che di etica in tal caso si dovrebbe parlare di etichetta... Ma lasciamo il gioco delle parole ed entriamo nella sostanza di un discorso che rimanda alla difficoltà, per non dire impossibilità, di conciliare storie e culture politiche diverse a partire da un orizzonte che non trova nell’etica e nella cultura della mediazione la strada per comprendere, direbbe papa Francesco, che il tutto è superiore alla parte e l’unità prevale sul conflitto.

Ciò che fa problema oggi in Italia non è tanto o soltanto l’agenda delle riforme pure importanti che il paese attende, è la politica nel suo insieme.
E in particolare il ruolo da assegnare a una cultura politica, non importa se di destra, di centro o di sinistra, nella “contaminazione” con altre culture, altri valori, altri soggetti sociali. Tanto più se si tiene conto che ogni partito o movimento non è più un pezzo, ma un prisma della società civile.
Ci sono soggetti sociali diversi: operai, impiegati, imprenditori, amministratori, funzionari, cittadini di buona volontà. Ci sono le culture diverse: laiche e religiose, riformiste e radicali. Ci sono valori, idee-forza diverse: libertà e uguaglianza, solidarietà e giustizia, impegno e responsabilità. E c’è infine il conflitto come esigenza permanente del processo di democratizzazione.

Ma, questo è il punto, ciò che fa problema non sono tanto le voci del catalogo, è il catalogo nel suo insieme, la sua impaginazione, il suo assemblaggio, perché i soggetti non sono uno uguale all’altro e non si lasciano mettere in serie, se è vero che un soggetto non è soltanto una figura sociale, ma l’espressione e la consapevolezza di una contraddizione, l’embrione di una visione dell’uomo e del mondo. I valori non sono innocui, non viaggiano separati dai bisogni o dagli interessi concreti che li incarnano e li esprimono come necessità e non solo come opzione ideale. Le culture, anch’esse fatte di storia e di soggettività, non si lasciano sommare in un pluralismo giustapposto che è altra cosa dalla pluralità. E il conflitto infine non è una dimensione ludica delle società cosiddette complesse, ma esprime l’antagonismo di una parte contro l’altra.

Si capisce così come questo catalogo possa corrispondere a una certa idea di radicalismo, ma non di radicalità.
Soddisfare una certo populismo, ma non piacere al popolo. Scatenare il fondamentalismo, ma non trovare il fondamento. Appellarsi a questo o quell’ideale, ma non affezionarsi all’idea di bene comune che sola può innervare la politica e aiutare a superare l’opposizione di quanti sono magari disposti ad abbandonare certi pezzi e certi esiti della propria storia, ma non la propria radice ideologica.

Sì che questa del compito e del ruolo da assegnare all’etica come orizzonte e metodo per superare contraddizioni e conflitti è diventata una delle questioni forti da affrontare.
E apre una domanda cui le percentuali elettorali o le sovrane regole della democrazia formale non danno risposta. Di qui l’impasse tra convivenza delle differenze come mosaico di tante tessere equivalenti e incompatibilità di ciascuna differenza in quanto espressione di un’identità.

Di qui soprattutto l’urgenza di una riflessione che aiuti a ripensare le differenze non a partire da un’ideologia, ma da un orizzonte etico condiviso.
E sia di stimolo alla politica a ritrovare nell’idea di bene comune la radice che fonda e alimenta la cultura della mediazione, a volte del compromesso, e non del conflitto, della contrapposizione dura, frontale, che tanto male ha fatto e continua a fare al nostro paese.

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