Lampedusa, 4 anni dopo. Così muore l’Europa che sognavamo

Non è mai facile né scontato celebrare un giorno così drammatico e denso di dolore, come quello del 3 ottobre 2013. Le centinaia di bare, allineate quattro anni fa nell’hangar del piccolo aeroporto di Lampedusa, devono costituire un monito per coloro che stanno tentando di sabotare il progetto europeo, minandolo alle fondamenta con politiche irresponsabili, per nulla ispirate ai nostri valori fondamentali.

Lampedusa, 4 anni dopo. Così muore l’Europa che sognavamo

Non è mai facile né scontato celebrare un giorno così drammatico e denso di dolore, come quello del 3 ottobre 2013.
Non è scontato soprattutto per chi ha la consapevolezza che quella notte non vennero inghiottite dal mare solo 368 vite, ma con loro naufragò un sogno, quello di un’Europa giusta e solidale.

 L’immagine di decine di corpi, di madri abbracciate ai propri bambini che giacevano in fondo al mare, ha rappresentato la sconfitta di una civiltà che si immaginava capace di proteggere i propri figli e che invece si è girata dall’altra parte davanti alla disperazione di tanta umanità in fuga.

Eppure, nelle settimane immediatamente successive a quel drammatico autunno, abbiamo continuato a sperare, grazie all’orgoglio e alla lucidità di un presidente del Consiglio che non ha tardato ad inaugurare la straordinaria stagione dei salvataggi in mare. Pochi mesi dopo il varo dell’operazione Mare Nostrum, però, iniziavano ad allungarsi nuovamente le ombre dello scetticismo e della paura che hanno velocemente trasformato l’immagine del nostro Paese da campione dei diritti umani, a un’Italia irresponsabile che stava consentendo l’ingresso a migliaia di profughi.

Fili spinati, blindati alle frontiere, controlli rafforzati sono l’immagine di un’Europa impaurita, che ha smarrito la sua identità plurale e la sua capacità di affrontare insieme le sfide della modernità.
Non è una caso che nelle parole di Papa Francesco a Strasburgo ritroviamo il richiamo a «un’Europa giovane, capace di essere ancora madre: una madre che abbia vita, perché rispetta la vita e offre speranze di vita». È dunque ancora lecito sognare «un’Europa che si prende cura del bambino, che soccorre come un fratello il povero e chi arriva in cerca di accoglienza perché non ha più nulla e chiede riparo»?

Purtroppo l’aumento di atteggiamenti e di atti xenofobi, uniti alla crescente popolarità dei movimenti di destra, mortificano sempre più queste speranze. La percezione di una diffusa insicurezza economica e sociale legata ai migranti, la paura degli attacchi terroristici e l'incapacità dei governi attuali di garantire sicurezza ai propri cittadini, sono elementi chiave sui quali questi movimenti stanno capitalizzando la paura diffusa verso lo straniero. È una situazione che non ha solo conseguenze sul piano politico elettorale, ma anche sulla tenuta dei territori e sul lavoro di tante organizzazioni umanitarie.

La campagna di discriminazione che ha colpito quest’estate le Ong impegnate nei salvataggi in mare ne è la riprova.
L’inganno, soprattutto mediatico, di chi ha voluto far credere che il problema era in mezzo al Mediterraneo, ha rischiato di avere effetti devastanti sull’idea di solidarietà che anima il mondo delle associazioni.
L’accusa mossa alle organizzazioni umanitarie di collusione con i trafficanti costituisce il paradigma di una società in crisi di valori, che la mancanza di punti di riferimento, della giustizia sociale, dell’onestà individuale e della responsabilità verso la collettività, trasforma in una società povera.

 Le centinaia di bare che quattro anni fa ho visto allineate nell’hangar del piccolo aeroporto di Lampedusa devono costituire un monito per coloro che stanno tentando di sabotare il progetto europeo, minandolo alle fondamenta con politiche irresponsabili, per nulla ispirate ai nostri valori fondamentali.

Oliviero Forti,
responsabile immigrazione Caritas italiana

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Fonte: Sir