Quei cristiani nel mirino

Abbiamo alle spalle un fine settimana grondante di sangue.

Quello versato in Kenya, nell’assalto di un gruppo di integralisti islamici a un centro commerciale; quello versato in Pakistan, per mano di due kamikaze che si sono fatti esplodere in una chiesa anglicana. In un caso come nell’altro, è il fanatismo religioso ad armare mani omicide. E sono i cristiani le vittime di tanto odio. Nulla di nuovo, purtroppo. Anche solo a scorrere le notizie degli ultimi mesi, l’elenco di attentati, omicidi, raid violenti è lunghissimo: Kenya, Pakistan, Nigeria, India, Sudan, per non parlare del silenzioso esodo forzato di centinaia di migliaia di cristiani che prosegue da anni in tutti i paesi del Medio Oriente.A volte la fede è soltanto un paravento per le vere motivazioni, in special modo politiche ed economiche, che alimentano le violenze. Spesso però è inutile cercare altrove, anzi mai come oggi tanti cristiani sono perseguitati in mille angoli del mondo per null’altro che la loro fede. Bersagli indifesi, spesso esigua minoranza in nazioni che si vanno radicalizzando, ostaggio di interessi e strategie internazionali che guardano più agli equilibri geopolitici che alla sofferenza concreta delle persone, per tante ragioni i cristiani faticano a trovare ascolto. La questione della libertà religiosa è la grande assente nei dibattiti sullo stato del mondo, nell’agenda dei vertici internazionali e nella lista di priorità dell’Onu.Non abbiamo la presunzione di poter avanzare soluzioni. Come giornalisti, sentiamo però la responsabilità di non lasciare che tanta sofferenza rimanga sotto traccia, espulsa dai temi del dibattito pubblico. Come credenti, facciamo nostro l’appello alla preghiera di papa Francesco e il suo insistito monito: «Solo la strada della pace costruisce un mondo migliore». Altra via non c’è, e ce lo ricorda anche l’incontro, promosso dalla Comunità di sant’Egidio, che si apre questa domenica a Roma coinvolgendo rappresentanti delle grandi religioni ed esponenti della vita culturale e politica provenienti da 60 paesi. È una grande “internazionale della pace” che torna a interrogarsi sulla Siria, sull’Islam e la cultura del convivere, sul terrorismo religioso, sull’informazione, sulle politiche di integrazione. Temi all’apparenza lontani, ma che si tengono assieme nell’orizzonte della costruzione di un mondo migliore a cui, come credenti, siamo particolarmente chiamati. Come diceva Shahbaz Bhatti, il politico cristiano ucciso il 2 marzo 2011, «la vera strada del paradiso passa dal Pakistan, per aiutare i nostri fratelli più deboli ed emarginati». Sognava un paese più giusto e in cui tutte le religioni potessero convivere. Il cammino, purtroppo, è ancora lungo. E non pare in discesa.