Scuola e parrocchia, un dialogo possibile

Passare dalla rispettosa indifferenza a una efficace sinergia. Nel nome delle giovani generazioni. È quanto si potrebbe auspicare per la comunità scolastica e quella cristiana che hanno in comune molto, a partire dalla passione per la verità che scaturisce in una proposta educativa aperta alla realtà e volta a una ricerca libera e responsabile.

Scuola e parrocchia, un dialogo possibile

Quest’anno le classi terze della mia scuola hanno sostituito la tradizionale pizzata con una festa “porta e offri”, tutti insieme. I

ragazzi, con l’aiuto delle loro famiglie, hanno trovato naturale organizzarla nel patronato parrocchiale, dove da poco hanno terminato il cammino in preparazione della cresima. Questo sacramento e gli esami di terza media sono vissuti dai ragazzi come un passaggio importante: un entrare nell’età delle scelte e iniziare ad assumersi delle responsabilità. Famiglia, scuola e parrocchia sono state, almeno finora, tre coordinate importanti di gran parte di questi quattordicenni.

Durante la festa, tra un amarcord e un tramezzino, mi chiedevo come favorire il dialogo e la collaborazione tra la scuola e la parrocchia, due realtà che per mille motivi rischiano di vivere una reciproca e rispettosa indifferenza. Anche quando basterebbe attraversare la strada. Non si tratta di creare fastidiose confusioni, ma feconde sinergie tra realtà che hanno a cuore la crescita delle nuove generazioni.

In primo luogo, sarebbe bene conoscersi: le relazioni hanno bisogno di nomi e volti. E già qui non mancherebbero le sorprese. Se penso al tavolo docenti di quella sera, più della metà dei commensali partecipa attivamente alla vita della sua comunità cristiana. C’è (stata?) una generazione di docenti e dirigenti che ha maturato in ambito ecclesiale, in particolare nell’associazionismo, una vocazione educativa, che li ha portati a scegliere la cattedra come mestiere. Una realtà di laici professionisti che può favorire l’incontro e il confronto tra la scuola e la chiesa locale. Su questo credo sia d’esempio quanto, con tatto e sapienza, si sta sperimentando a livello di ufficio scuola diocesano.

Più cose accomunano la scuola e la chiesa, una è di certo la passione per la verità. Questa si traduce in una proposta educativa aperta alla realtà e volta a una ricerca libera e responsabile. Papa Francesco più volte ha ricordato che non dobbiamo avere paura della realtà e ha elogiato gli educatori «che hanno un pensiero aperto, “incompiuto”, che cercano un “di più”, e così contagiano questo atteggiamento…».

Si tratta quindi di creare luoghi e percorsi, perché la comunità scolastica e quella cristiana si interroghino e si mettano insieme in ricerca su alcune questioni, che investono la loro missione. Anche su questo ci sono già buone pratiche. In alcuni vicariati, sull’esempio dei convegni diocesani sulla corporeità e sulle emozioni, sono stati sperimentati incontri su temi educativi, che sono stati riconosciuti e raccomandati dalle istituzioni scolastiche come corsi di aggiornamento professionale per i docenti.

In questo contesto ci può ispirare la figura di don Lorenzo Milani, il quale da credente perseguiva una scuola dove «il maestro deve essere per quanto può, profeta, scrutare i segni dei tempi, indovinare negli occhi dei ragazzi le cose belle che essi vedranno chiare domani e che noi vediamo solo in confuso». È il sogno educativo di un uomo che il cristianesimo lo pigliava sul serio e che ha fatto della scuola dei ragazzi una ragione di vita. Ecco perché oggi la chiesa e il mondo della scuola trovano quanto mai attuale il priore di Barbiana. In presenza di una generale rinuncia educativa, la quale tende a porre tutte le opzioni sullo stesso piano perché nessuno avrebbe la verità; don Lorenzo invita ciascuno ad andare invece alla radice delle sue convinzioni profonde, per camminare insieme agli altri alla ricerca della Verità, che sempre ci supera e ci comprende.

Stefano Bertin

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