Il consultorio di Padova compie 60 anni. Tutti spesi in ascolto delle famiglie

I sessant’anni del Consultorio familiare di Padova. Fondato nel 1957, ha assunto la sua attuale veste nel 1969 rimanendo sempre fedele ai valori di fondo: lavoro di équipe e uno stile di vera laicità, che aiuti le persone a condividere i problemi e trovare, assieme, le possibili soluzioni.

Il consultorio di Padova compie 60 anni. Tutti spesi in ascolto delle famiglie

A rileggere i nomi in calce all’atto vergato nello studio del notaio Todeschini il 23 aprile 1969, pare di veder sfilare un pezzo prestigioso – forse la miglior parte – di quel mondo cattolico, preti e laici insieme, che ha innervato la cultura padovana nella seconda metà del Novecento
Don Alfredo Magarotto, don Alfredo Battisti, don Cesare Zaggia, don Giuseppe Trentin, don Ermanno Tura, don Luigi Mazzucato, don Giovanni Nervo. E ancora Tullio Maddalosso, Enrico Rubaltelli, Giorgio De Sandre, Bruna Carazzolo, Ivone Cacciavillani e tanti altri a comporre quattro fitte pagine dattiloscritte.
Con loro, a sancire la nascita del Consultorio matrimoniale di Padova, c’è anche Paolo Benciolini che poco tempo dopo, nel 1972, ne sarebbe divenuto il direttore. Una carica esercitata con passione per 45 anni, prima di lasciare il testimone con l’inizio del 2017 a Luisa Solero.

La lezione di don Paolo Liggeri

Ma la storia di quello che può vantarsi di essere uno dei primi consultori italiani viene da ancor più lontano, da quella stagione dell’immediato dopoguerra in cui don Paolo Liggeri intuisce a Milano che la ricostruzione della società dopo le macerie della guerra e di un’ideologia che aveva imprigionato l’Italia per vent’anni, non poteva che darsi “a partire dalla famiglia”.
Alla sua iniziativa si rifaranno poi Verona nel 1953, Padova nel ‘57 e tanti altri centri riuniti a partire dal 1968 nell’Ucipem.
Allora gli obiettivi erano quelli di preparare le nuove generazioni al matrimonio, affrontare i problemi di sterilità, gestire le separazioni in un’Italia che non conosceva il divorzio.
Oggi – in un quadro sociale e normativo radicalmente cambiato – la vita di un consultorio è del tutto diversa. Ma le motivazioni e il radicamento ideale, a ben guardare, non differiscono poi molto da quelli che sulla fine degli anni Sessanta portarono alla sua nascita. Li si potrebbe forse riassumere in due grandi principi: il lavoro di équipe e uno stile di autentica laicità.

«Essere consultorio – sottolinea Luisa Solero – per noi ha sempre significato lavorare insieme tra professionisti di diversa estrazione. Medici, psicologi, avvocati, assistenti sociali, consulenti… insieme si fa formazione, insieme si costruisce una metodologia comune di intervento che vuole sempre mettere la persona al centro. Perché non esiste una risposta giusta o sbagliata “a prescindere”, quando si mettono le mani nei drammi di una famiglia. Esiste “la risposta” giusta per “quella” persona, ed è una risposta che deve sempre nascere come frutto di un percorso interiore. Qui si fonda anche la nostra laicità: che è uno sguardo di rispetto profondo per la persona, è sforzo di condivisione, ascolto dei suoi problemi. Senza rimanere prigionieri di cavilli legalistici o di modelli che appartengono al passato, ma con l’attenzione a guardare alla realtà di oggi per accompagnare le coppie nel loro cammino».

Da quando nel 1975 sono nati i consultori pubblici, la domanda si ripete periodicamente: ma hanno ancora senso delle strutture private?
Vale la pena continuare in un impegno sotto ogni punto di vista gravoso, o non sarebbe meglio lasciar fare alle regioni? Una risposta non scontata nemmeno in Veneto, dove pure – a differenza di quanto non avvenga in altre regioni – la legge prevede la coesistenza di strutture pubbliche e private.
Ma le ragioni per proseguire, seppur sotto traccia, non sono difficili da individuare. E la principale sta forse nella differenza di approccio: più attenta all’ambito sanitario nei consultori pubblici, più impegnata sul fronte psicologico-relazionale in strutture come quella di Padova.

«Una volta coppia era sinonimo di famiglia – riflette Enzo Valpione, medico, tra gli animatori del consultorio – mentre oggi dobbiamo confrontarci con una varietà di situazioni sempre più ampia. Ma la maggiore libertà non riduce, e forse perfino accresce l’esigenza di un aiuto. C’è chi deve fare i conti con gli strascichi di una prima unione, chi con la presenza di figli, chi con le profonde ferite che spesso lascia il ricorso alle tecniche di procreazione assistita. Ci sono i mille dubbi di fronte all’eventuale annullamento canonico di un matrimonio. E le stesse coppie omosessuali non sono certo al riparo da tensioni o conflitti. Spesso già poter narrare i propri drammi ci “libera” dal loro peso. Sempre, comunque, quel che avvertiamo è il bisogno delle persone di incontrare qualcuno che aiuti ad allargare gli orizzonti, che faccia intravvedere possibili soluzioni. E questa è la frontiera, delicata e rischiosa, su cui da sempre noi ci spendiamo».

Stare sulla frontiera, evitare di arroccarsi, costringe a mettere in conto anche qualche frizione.
Come avvenne con la curia al tempo del divorzio, come rischia di avvenire oggi sia nei confronti del mondo scientifico, sia di un approccio che della laicità rivendica il nome ma dimentica il senso, sia infine di un risorgente integralismo che fatica a lasciare spazi tra il bianco e il nero. Quando invece la vita, specie quella delle famiglie, è quasi sempre un insieme cangiante di sfumature.

«Penso alla procreazione medicalmente assistita – spiega Paolo Benciolini – e a quando come Comitato etico domandavamo: ma perché solo “medicalmente” assistita? Davvero la medicina e il legislatore non si rendono conto che ci sono tante altre dimensioni dentro di noi che in passaggi così delicati hanno bisogno di essere accompagnate? Penso alle donne che abortiscono… quante tornano dopo da noi per cercare assieme il senso di quel che hanno vissuto! Penso anche a chi emette condanne e taglia giudizi con l’accetta, magari perché dall’insicurezza psicologica nei confronti delle novità è meglio uscire rifugiandosi in modelli protettivi e deresponsabilizzanti. In questi sessant’anni il nostro consultorio ha cercato di essere spazio di accoglienza e di narrazione. Uno spazio amico, in cui cercare assieme di scoprire cosa davvero ci sta facendo soffrire. E per questa via, speriamo, riuscire anche a riformulare in maniera diversa la propria vita».

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