Penalisti in sciopero. Carcere, riforma a rischio

Avvocati penalisti in sciopero il 2 e 3 maggio contro la scelta di escludere la riforma del sistema penitenziario dai temi della Commissione speciale.

Penalisti in sciopero. Carcere, riforma a rischio

Una manifestazione nazionale il 3 maggio e due giorni di astensione dalle udienze, per ribadire che la riforma del sistema penitenziario non può più aspettare e che “si finge, irresponsabilmente che non vi siano ragioni di urgenza, di umanità e di civiltà che impongano di intervenire” sulle “condizioni drammatiche di un sistema nel quale i suicidi si susseguono al ritmo di uno alla settimana, nel quale la salute non è garantita e l’opera di risocializzazione sostanzialmente interdetta da numeri tornati a limiti tali da riproporre complessivi profili di sicurezza, oltre che di decenza”.

L’Unione Camere Penali alza la voce, unendosi al coro di proteste che arriva dall’intero mondo penitenziario, dopo il mancato inserimento del decreto che riforma il sistema carcere nell’ordine del giorno della Commissione speciale della Camera dei deputati chiamata a intervenire sulle pratiche urgenti rimaste in sospeso, in attesa della formazione del nuovo governo. 

Come italiani siamo mortificati per quello che sta avvenendo – sottolinea l’avvocato Riccardo Polidoro, responsabile dell’Osservatorio carcere dell’Unione camere penali italiane – e siamo abbastanza sorpresi, non dal clima politico, ma perché di questa riforma si parla dal 2013, dalla sentenza Torreggiani. Poi ci sono stati gli Stati Generali sull’esecuzione penale, abbiamo avuto la Legge delega e, ancora, le commissioni ministeriali. C’era una forte aspettativa, dopo tutto il lavoro svolto, in primo luogo da parte dei detenuti che vivono in condizioni disastrose, con il sovraffollamento sta continuando a crescere”.

Dopo un lungo iter, quasi in "zona Cesarini" il Consiglio dei ministri ha varato a metà marzo una parte dell’attesa riforma dell’ordinamento penitenziario, inserita nella Legge Delega (103 del 2017) con cui il 14 giugno dello scorso anno il Parlamento ha affidato al governo il compito di ridisegnare il profilo dell’esecuzione penale italiana. Già si sapeva che il mutato clima politico avrebbe reso arduo il successivo (e necessario) passaggio in Parlamento, ma l'esclusione rischia di rappresentare una pietra tombale su un provvedimento accolto con favore dal mondo delle associazioni e dai garanti dei detenuti. Per tentare di trovare una soluzione il ministro della Giustizia Orlando ha anche telefonato ai presidenti di Camera e Senato, Maria Elisabetta Casellati e Roberto Fico, chiedendo loro di riconsiderare la decisione: “La mancata attuazione della riforma – ha ricordato – rischierebbe di pregiudicare gli importanti passi compiuti, che hanno determinato la chiusura del monitoraggio al quale il nostro Paese era stato sottoposto a seguito della condanna della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo del gennaio 2013”. Per ora però nulla si è mosso, e il convulso momento politico non lascia troppi spiragli all'ottimismo.

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