"Il fiume siamo noi", ora proviamo a riappropriarcene

L'esordio letterario di Alessandro Tasinato indaga le contraddizioni della modernità: l'acqua non è solo inquinata, ci è entrata nel sangue coi Pfas.

"Il fiume siamo noi", ora proviamo a riappropriarcene

Storia e lingua di un pezzo di Veneto, ma anche viaggio narrativo attraverso le anse della Bassa Padovana. Alessandro Tasinato, 43 anni, dottore in Scienze ambientali, possiede una vocazione etica per lo studio dell’impatto che il “modello di sviluppo” impone agli assetti naturali. E da più di un decennio coltiva l’istinto di raccontare la parabola del territorio in cui è nato.

Nasce così Il fiume sono io (Bottega Errante Edizioni, pagine 256, euro 16), sorta di romanzo-ventaglio che squaderna autobiografia e coscienza, carotaggi di passato e analisi del presente, parole che scorrono sulle esperienze e metafore della vita, emozioni che si cristallizzano e sentimenti che si sciolgono. Tutto grazie alla metafora della Rabiosa, corso d’acqua scomparso dalla toponomastica che continua a sgorgare dalle Prealpi, entrare nel distretto vicentino della concia, attraversare la Bassa da Bevilacqua a Sant’Urbano fino a sfiorare l’Adige per poi gettarsi a pochi chilometri da Chioggia nel Brenta-Bacchiglione.

Se Ferdinando Camon ha ormai da lungo tempo inchiodato l’epigrafe del mondo contadino novecentesco, Tasinato con il “suo” fiume in piena narrativo inaugura una prospettiva convincente: «Resiste ancora l’antitesi fra mondo urbano e contadino, ma senza più i vecchi confini fra la città delle istituzioni, dell’Università, del mondo evoluto e la Bassa in inferiorità psicologica prima ancora che economica o sociale. Ora c’è un’altra differenza. Una “città mentale” legata alla complessità di un mondo che è insieme locale e globale. E la campagna intesa come piattezza di un’omologazione cui, forse, appare più comodo attenersi. Insomma, l’antitesi è diventata fra persone capaci di leggere la complessità e chi non ha gli strumenti per farlo. Perché oggi è l’immagine che permea la comunicazione, anche ambientale. Bisogna saper leggere cosa davvero sta dietro ciò che monopolizza l’immaginazione», argomenta.

Dunque, si parte dall’acqua e si ritorna sempre alla Rabiosa scoperta in gioventù grazie al coetaneo più scapestrato e meno adatto ai banchi di scuola. Una lezione interdisciplinare sul campo. Dettata con parole come degòra, pertega, reòn. Dimostrata dai teoremi della natura. Disegnata dalla forma o dalle squame dei pesci.

Tasinato confessa la volontà di testimoniare la sua simbiosi con il fiume. Così la rinuncia al “saggio ambientale” è diventata un’ossessione letteraria, «frequentando i luoghi più dimenticati nostra storia, alcuni in stato primordiale e selvatico, dimenticati da tutti, inculti appunto come la golena». Spicca il Retratto del Gorzòn, la grande carta catastale lunga 7,95 e larga 3,38 metri, disegnata a tempera in 121 listelli di cartoncino in origine incollati su tela di lino. È conservata nel Museo civico etnografico di Stanghella. «Una mappa bellissima, con cui la Serenissima dimostra il suo potere sull’entroterra prima di procedere alla sottrazione dell’acqua con la bonifica frutto dell’ingegneria prima delle macchine a vapore. Si vede ancora la Rabiosa impaludarsi a Vighizzolo, un fiume che sarà via via prosciugato dal Gorzone – si entusiasma Tasinato – Ora c’è una geografia nuova che si sovrappone, l’uomo ha perso contatto con territorio: sintomo del disorientamento attuale tipico del Nordest. E insieme l’elemento dell’acqua che fa la fortuna economica di Chiampo-Arzignano, con le concerie che scaricano fino a distruggere la Rabiosa».

Una riscoperta dell’acqua dell’infanzia che culminerà nella catarsi di una speranza nutrita anche dall’enciclica di papa Francesco. E Tasinato offre al lettore più di uno spunto per tradurre il fiume in specchio: «Noi abbiamo l’idea che tutto sia lecito. Ma la qualità dell’acqua non è fissata soltanto dall’indice chimico, in base alle sostanze che la compongono. C’è una vera e propria “scatola nera”, la memoria del fiume: la biologia delle comunità di micro organismi che si depositano nel fondo». Senza dimenticare la vicenda Pfas esplosa nel 2013: «Il fiume non è più soltanto inquinato, ma è addirittura entrato nel sangue di oltre 300 mila persone e si devono trovare altre falde per gli acquedotti». 

In questa prospettiva, Il fiume sono io restituisce una parabola inequivocabile. Le testimonianze sulla schiuma che bruciava l’erba negli anni Settanta. L’approvazione della legge Merli nel 1976 che non basta a impedire altri avvelenamenti. Infine, le direttive europee che dal 1999 puntano a salvaguardare la capacità auto-depurativa dei corsi d’acqua. «L’Unione europea – conclude Tasinato – fissava in 15 anni il tempo della promessa di una buona qualità dell’acqua. Appuntamento disatteso, perché nel Fratta Gorzone vi sono ancora tratti di scarsa o pessima qualità. Nell’ultima parte del libro invoco, di conseguenza, un nuovo modo di rapportarsi con il fiume. Non più “madre natura” da cui si riceve a senso unico, ma “sposa” come nella promessa sancita all’atto di matrimonio. Una promessa da mantenere in termini di responsabilità, nel solco della Laudato si'. Non a caso enciclica di un papa che ha scelto di chiamarsi Francesco, recuperando il santo che usava termini affettivi nei confronti della natura…».

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