A Casa di Amadou diventiamo fratelli

La quaresima di fraternità continua. Don Nandino Capovilla, parroco nel quartiere multietnico della Cita a Marghera, testimonia che cosa significhi amare la fraternità.

A Casa di Amadou diventiamo fratelli

Tutti potrebbero dire «amo la fraternità». Già, ma cosa significa amare la fraternità? In questa seconda domenica di Quaresima, l’itinerario “Assetati di fraternità”, che il Centro missionario diocesano di Padova propone a tutte le comunità, dedica una tappa proprio a questa declinazione – amare – secondo dei cinque verbi che papa Francesco ha affiancato all’idea di fraternità nel suo messaggio per la Giornata mondiale per la pace del 2014.
Una risposta alla domanda “che cosa significa amare la fraternità?” la offre don Nandino Capovilla, parroco nel quartiere della Cita a Marghera, già coordinatore di Pax Christi, intervenuto a uno degli incontri di presentazione della Quaresima di fraternità 2018 a gennaio.

«Quella marea un po’ caotica di cui parla papa Francesco nella sua esortazione apostolica Evangelii Gaudium (87) prende vita ogni giovedì sera in parrocchia da me – racconta don Nandino – quando ragazzi e ragazze che hanno scoperto questa cosa bella di accogliere arrivano per condividere la cena con profughi e richiedenti asilo della case accanto. Si tratta di una cosa molto semplice, destrutturata, che abbiamo chiamato “La casa di Amadou”».
Un’iniziativa (a cui è dedicata anche una pagina Facebook) che parte da un’idea basilare quanto fondamentale: «Tutti abbiamo bisogno di una casa, di persone con cui stare in semplicità e questo innesca qualcosa di molto profondo. Quando papa Francesco parla delle diverse modalità di vivere la fraternità, parla di “stare insieme”, “mescolarsi”, “prendersi in braccio”, “appoggiarsi” e spiega che questa è una mistica».

Ebbene, se «la mistica di vivere insieme può trasformare una marea caotica in una vera esperienza di fraternità» (EG 87), allora può capitare che amando la fraternità si generino relazioni tra la comunità cristiana e, per esempio, i tanti musulmani, 40 per cento, che abitano il quartiere della Cita. È la convivialità delle differenze di don Tonino Bello, da cui nascono esperienze nuove, come “La casa di Amadou”. O come l’orto condiviso, gratuito e aperto a tutti, che ha permesso per la prima volta di guardarsi in faccia con i molti cinesi presenti a Marghera e nella Candelora di un anno fa unire i ceri e le lanterne. «E così – continua papa Francesco – l’ideale cristiano potrà superare il sospetto, la sfiducia, gli atteggiamenti che ci mettono sempre sulla difensiva».

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