Articolo 18 e jobs act, i nodi della discordia

Il Jobs act viene visto come la "bestia nera" che crea precariato, ma per il partito di governo resta un punto fermo delle politiche del lavoro che va solo aggiustato.

Articolo 18 e jobs act, i nodi della discordia

Gli ultimi dati parlano di una disoccupazione ai minimi: a dicembre è scesa al 10,8 per cento, il livello più basso da agosto 2012. Si conferma inoltre la crescita degli occupati su base annua, ma l'aumento è tutto concentrato nei contratti a termine e la colpa viene assegnata al Jobs act, legge che tutte le forze politiche utilizzano contro il Pd, che invece la considera strumento imprescindibile per combattere la disoccupazione, in particolare quella giovanile.

Ripristinare l’articolo 18 e tornare a prima della legge Biagi è nel programma di Liberi e Uguali, mentre la Lega rivuole l’articolo 18 e insieme a Forza Italia promette l’eliminazione di ogni tassa o contributo per i primi sei anni per chi assume un giovane a tempo indeterminato. Costo dell’operazione: 40 miliardi.

Per il Pd è necessario invece rafforzare e completare il Jobs act. Nonostante per opportunità politica l'intervento non sia stato accolto nell’ultima finanziaria, nel suo programma il partito di Renzi si propone di correggere l'attuale impostazione del mercato del lavoro redistribuendo i pesi economici tra i contratti stabili e quelli precari, rendendo più onerosi gli ultimi con la proposta di una liquidazione, e gradualmente meno caro il posto fisso intervenendo sul cuneo fiscale con un taglio di 4 punti in più anni. Uno sguardo diverso in risposta agli attacchi degli ex compagni di LeU, ma soprattutto dei 5 Stelle che puntano direttamente al “reddito di cittadinanza” mentre rimane incerta la posizione sull’eventuale ripristino dell'articolo 18. I 5 Stelle, infatti, insistono più sul rafforzamento dei Centri pubblici per l’impiego ma non indicano quale sia la misura degli sgravi ipotizzati per le assunzioni e la loro copertura finanziaria.

Per LeU poi occorre contenere le ipotesi di lavoro flessibile e rilanciare le assunzioni nel pubblico impiego dando vita a un turnover considerato necessario per sostenere l’occupazione giovanile e ridare fiato alla stessa pubblica amministrazione. La loro proposta elettorale punta anche sull’assegno di ricollocazione e sul rilancio degli ammortizzatori sociali che dovrebbero avere una durata maggiore.

L'appello

«Ci auguriamo che la campagna elettorale e l’inizio della legislatura non rappresentino un motivo di rallentamento nell’adozione dei numerosi atti normativi necessari per una chiara applicazione del codice del Terzo settore, che le organizzazioni non possono più attendere». Lo dichiara Claudia Fiaschi, portavoce del Forum nazionale del Terzo settore, in riferimento all’applicazione della riforma, su cui «c’è ancora molto lavoro da fare. Gli oltre 141 mila enti che rappresentiamo sono in attesa di avere un quadro normativo definitivo che orienti in modo certo i loro comportamenti». Una priorità è, a suo avviso, quella di «completare i chiarimenti fiscali per rendere effettive le previsioni a vantaggio degli enti e avere certezza sui tempi dell’entrata in vigore delle norme. Occorre, inoltre, attivare gli strumenti di governance previsti, come il Consiglio nazionale del Terzo settore, l’organismo nazionale di controllo dei Centri di servizio per il volontariato e la cabina di regia interministeriale».

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