Giovanni Tolin: «Un giovane che si impegna in politica ha già creato una piccola rivoluzione»

La politica, soprattutto a livello locale, ha bisogno di modelli e di esempi. Solo così si possono coinvolgere i giovani e trasformare il loro entusiasmo in un'energia aggiunta e propositiva per i partiti stessi. Giovanni Tolin, 20 anni, crede ancora nei circoli, ma sprona i suoi coetanei a impegnarsi.

Giovanni Tolin: «Un giovane che si impegna in politica ha già creato una piccola rivoluzione»

Attivista nel Partito democratico, studente di economia e volontario in parrocchia. Ma soprattutto capo scout.
Giovanni Tolin, 20 anni, mette lo scoutismo al primo posto come insegnamento fondante della sua crescita umana e della sua formazione. Si sente prima di tutto uno scout perché il principio di fare qualcosa, di essere utili e mettersi al servizio di una comunità, per lui, partono da qui.
Un’attitudine civica che piano piano si è traslata in un dovere e sentimento politico, maturato nel 2013 grazie a un esempio nel suo quartiere.

«Era il 2013, nel Partito democratico c’era un forte slancio e c’era un clima positivo. Nel mio quartiere, la Mandria, c’è un circolo e ho iniziato a frequentarlo per curiosità; qui ho conosciuto Enrico Beda che mi ha ispirato sin da subito: lo vedevo impegnarsi concretamente, dalla buca nell’asfalto al cassonetto, vedevo come spendeva il suo tempo gratuitamente all’interno del circolo e per me è stato un esempio. Lui mi ha consigliato di entrare nella Giovanile del partito e ho conosciuto un gruppo di trenta-quaranta ragazzi, una rete dinamica. Tutto è iniziato da qui».

La politica vive ancora nei circoli? Quanto riesce a coinvolgere un giovane che ha voglia di affacciarsi al mondo?
«All’interno del Partito democratico davvero una persona che viene da qualsiasi ceto – ammesso che si possa ancora parlare di ceto – può crescere e diventare parte della classe dirigente. Più in generale il partito come struttura garantisce la formazione, una formazione che si fa assieme. Qui capisci l’importanza del confronto, come ci si comporta, impari direttamente sul campo e questo è il bello della politica. Differenti età e differenti esperienze si rapportano per un unico bene: la politica è cultura, è una ricchezza che doni agli altri».

La politica, soprattutto vista dai giovani, ha bisogno sempre di modelli per poter ancora ispirare?
«Il giovane ha meno competenze ma è mosso dall’entusiasmo, che è un’energia aggiunta. Essere giovani per me è una vocazione e fare politica da giovane diventa a sua volta un modello e uno strumento con cui entrare in un determinato processo e influenzarlo. Io credo che un giovane, al di là di tutti gli estremismi sbagliati, ha sempre ragione: un ragazzo che si impegna è qualcosa di meritevole e bello. Certo la politica deve saper veicolare e dare una forma all’esplosione di volontà di cui è carico un giovane».

Però c’è anche un astensionismo che a suo modo è una dimostrazione di insoddisfazione. È la politica che deve fare un passo in avanti verso i giovani e capirli o viceversa?
«Ogni giovane ha in sé una potenziale agitazione che può essere trasformata in entusiasmo o disaffezione. La responsabilità è dei partiti che a livello nazionale non riescono a trasmettere la passione, cosa che a livello locale, nei circoli, ancora si avverte e passa da adulto a ragazzo. Noi giovani, però, non possiamo pretendere che le cose cadano dall’alto perché altrimenti la stessa politica ci travolgerà. La campagna di Bernie Sanders, negli Stati Uniti, è stata fatta da miei coetanei e si è detto che se noi millennials ci coalizzassimo, saremmo il primo partito al mondo. Gramsci parlava di istruzione, agitazione e organizzazione: ci manca questo terzo passaggio per trasformare l’istinto in qualcosa di concreto. Quando la politica diventa burocrazia, si ingiallisce, non è più affascinante, non è più divertente. Dobbiamo cambiare le prospettive».

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