“La pietra scartata”. I migranti sul palco dell'Opsa giovedì 22 febbraio

Giovedì 22 febbraio al teatro dell'Opsa torna "La pietra scartata", l'evento curato da Fondazione Fontana per riflettere insieme sulla fragilità come opportunità. In scena lo spettacolo del Teatro dell'Orsa Questo è il mio nome con un gruppo di rifugiati africani dello Sprar di Reggio Emilia.

“La pietra scartata”. I migranti sul palco dell'Opsa giovedì 22 febbraio

Alla corte dei Feaci, Odisseo può finalmente raccontare chi è, da dove viene, quali indicibili sofferenze ha patito in mare. Lo può fare perché i Feaci sono uomini e gli uomini – nelle regole non scritte dell’antica civiltà greca – non negano l’ospitalità ai propri simili, al punto tale che xenòs indica, in modo indistinto, l’ospite e l’ospitato. Solo Polifemo non accetta i naufraghi di Itaca, perché è creatura mostruosa che non conosce la legge degli uomini e che sbrana e imprigiona chi non è simile a lui.

La fragilità della migrazione è quest’anno il cuore di “La pietra scartata”, l’evento promosso e organizzato ormai da nove anni da Fondazione Fontana, in collaborazione con numerose realtà non profit del territorio tra cui AtanteMani, Impresa solidale, Opsa, Uildm Padova. E anche quest’anno “La pietra” trova casa al teatro dell’Opsa di Sarmeola di Rubano giovedì 22 alle 20.45.

“Questo è il mio nome” è il titolo della serata di riflessione e di confronto aperta a tutti. Trae origine dal titolo dello spettacolo che richiama l’Odissea di Omero e che viene messo in scena da un gruppo di rifugiati e richiedenti asilo del progetto Sprar di Reggio Emilia a cura del Teatro dell’orsa. «Quest'anno abbiamo voluto rinnovare la classica formula di musica e parole che da sempre caratterizza “La pietra scartata” – spiega Luca Ramigni, responsabile dell’evento – Abbiamo deciso di optare per il linguaggio teatrale, scegliendo di affrontare la fragilità e la debolezza umana da un’altra angolatura: quella della migrazione, della lontananza dal proprio paese, a causa della povertà, della fame, della guerra. Il teatro diventa così strumento attraverso il quale con musiche, racconti e immagini simboliche si possono narrare non solo paure e tragedie, ma anche nuovi incontri e nuove opportunità, con leggerezza e positività».

Di fronte ai timori causati dalle migrazioni, al senso di inadeguatezza e a volte ribellione che prende il sopravvento, non ci sono pretese di analisi sociologiche o facili soluzioni: «“Questo è il mio nome” diventa un’occasione utile per fermarci, ascoltare, riflettere, ritrovare nelle storie di altri i nostri stessi desideri, guardarci negli occhi, riconoscere nelle fragilità reciproche possibilità per nuove relazioni di vita “più umana” per tutti».

Lo spettacolo, per la regia di Monica Morini e Bernardino Bonzani e che lo scorso anno è stato presentato ai “Teatri del sacro” ad Ascoli Piceno, è nato in seguito alla richiesta del comune di Reggio Emilia  nel 2014 di un corso teatrale per rifugiati in arrivo. «Doveva essere una piattaforma d’incontro – ha spiegato in un’intervista la regista – per allenare alla relazione e all’uso della lingua italiana. Si abita una lingua e poi si abita un paese e le parole sono state la sostanza da cui siamo partiti. E ogni parola libera storie e memorie. […] Abbiamo bisogno degli altri per capire chi siamo. Il teatro ci mette in mezzo a questo mistero, abbiamo bisogno di andare al nostro cuore e a quello degli altri e questa non è retorica, è pratica teatrale vissuta dentro ogni respiro, ogni gesto, ogni sguardo, ogni parola».

A conclusione dello spettacolo, giovedì 22 febbraio ci sarà spazio per il confronto diretto con il pubblico moderato dal giornalista Sergio Frigo, che negli anni Novanta ha fondato e diretto a Padova il primo freepress dedicato alla migrazione Cittadini dappertutto. Info: www.fondazionefontana.org

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