Alejandro Solalinde, l'uomo che ha raccolto il grido degli ultimi del Sud America

«Stiamo vivendo nel mondo un vero genocidio, non posso chiamarlo in un’altra maniera. È un nuovo olocausto – ha scandito sotto le volte della Cattedrale affollata e silenziosa – Abbiamo in Messico decine di migliaia di migranti desaparecidos. Ogni sei mesi sequestrano più di di 10 mila persone e quelli che non possono pagare il riscatto semplicemente vengono ammazzati». Alla veglia dell'invio, il 20 ottobre, la testimonianza del prete anti narcos più volte candidato al Nobel.

Alejandro Solalinde, l'uomo che ha raccolto il grido degli ultimi del Sud America

I narcos lo vogliono morto, ma lui non abbassa lo sguardo.
Non attenua l’eco della sua voce, che ormai risuona in tutto il mondo. Padre Alejandro Solalinde oggi è un simbolo della lotta della chiesa accanto agli ultimi e in particolare ai migranti, e venerdì 20 ottobre ha portato anche a Padova la sua drammatica testimonianza.

«Stiamo vivendo nel mondo un vero genocidio, non posso chiamarlo in un’altra maniera. È un nuovo olocausto – ha scandito sotto le volte della Cattedrale affollata e silenziosa – Abbiamo in Messico decine di migliaia di migranti desaparecidos. Ogni sei mesi sequestrano più di di 10 mila persone e quelli che non possono pagare il riscatto semplicemente vengono ammazzati. Ci sono più di 70 mila persone scomparse. In Messico ci sono fosse comuni ovunque e non c’è la volontà politica per investigare e neanche i mezzi per farlo. Nemmeno il nostro governo ha l’autorità morale per fermare questa tragedia. E questo è molto triste».

È per denunce come questa, ripetute incessantemente in tutto il mondo, che padre Alejandro è stato proposto più volte per il Nobel per la pace.
Ma per lo stesso motivo pende sulla sua testa una taglia emessa dai narcotrafficanti che si arricchiscono sulla pelle dei più deboli principalmente grazie al traffico di organi (come racconta nel suo libro I narcos mi vogliono morto, pubblicato dalla Emi e disponibile al centro missionario diocesano).
Dopo una vita da prete “normale”, padre Solalinde ha deciso di aprire le porte di casa e del cuore ai molti stranieri, senza documenti, che cercavano un rifugio, un pezzo di pane, una parola di conforto. E poi non ha taciuto, ha denunciato: i soprusi della malavita, ma anche le connivenze della politica e la corruzione da parte delle forze dell’ordine. Da qui la taglia da un milioni di dollari e la scorta di quattro uomini necessaria per proteggerne uno, che difende i poveri.

«Dobbiamo sentirci molto orgogliosi di essere missionari – ha ripetuto più volte padre Alejandro di fronte ai 16 partenti, tra cui i due preti fidei donum don Giuseppe Cavallini e don Mattia Bezze e i volontari di Medici con l’Africa Cuamm – Ma non possiamo essere missionari se prima non ascoltiamo la voce di Dio. E la voce di Dio oggi è quella dei poveri, la voce di Dio sta nei migranti». Migranti che sono figli prediletti di Dio, ha sottolineato il sacerdote messicano, nei quali però il Signore non può compiacersi, perché non godono dei diritti come tutti gli altri.

«Non abbiate paura, noi siamo il futuro con i migranti, senza loro non avremmo un domani. Non abbiamo paura e siamo generosi nell’ascoltarli».
Un ascolto che Padova già esercita con la sua grande accoglienza, più volte ribadita da padre Solalinde, che ha però adesso la necessità di farsi azione politica incisiva. «L’Europa non vuole riconoscere le persone migranti come lavoratori internazionali. E nemmeno vuole riconoscere i diritti umani delle persone migranti. Dice che non ha l’autorità per correggere un paese come il mio, il Messico, che non rispetta i diritti umani».

Ma nonostante le battaglie padre Alejandro continua a scorgere la speranza.
«Mi dà molta emozione vedere l’evoluzione della nostra chiesa, capace di mostrare una reale apertura verso le differenti culture. Riesco a vedere la grande accoglienza che questa diocesi sta dando alla diversità. Il nostro mondo è diverso. I migranti sono diversi. Però qui gli viene dato il benvenuto».

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