Corpi civili di Pace, i progetti di Caritas in Bosnia e nelle Filippine

La ricostruzione post conflitto a Sarajevo e l’emergenza ambientale nelle diocesi filippine: questi i progetti di Caritas per la sperimentazione dei “caschi bianchi”. Il responsabile del servizio civile Diego Cipriani: “Pochi posti coperti: nelle progettazioni future chiediamo di essere maggiormente coinvolti”.

Corpi civili di Pace, i progetti di Caritas in Bosnia e nelle Filippine

Sono 3 i progetti di Caritas che hanno ottenuto la valutazione positiva per la sperimentazione dei Corpi civili di Pace.
Due nell’elenco “Aree di conflitto e a rischio conflitto o post conflitto” (uno in Bosnia ed Erzegovina, uno in Kosovo), uno in quello “emergenza ambientale all’estero” (nelle Filippine).

Riconciliazione: l'impegno per i Balcani
“In Bosnia lavoreremo, insieme con i 4 volontari dei Corpi civili di Pace, sulla riconciliazione”, spiega Laura Stopponi, responsabile dell’Ufficio Europa della Caritas italiana. I ragazzi saranno inviati all’interno di due strutture dell’associazione Youth for Peace, nata da una costola del Consiglio Interreligioso di Sarajevo, in partenariato con altre associazioni sportive della città.

Parteciperanno ad attività comuni rivolte a giovani e bambini: “Chiederemo loro di aiutarci a portare avanti decine di attività che abbiamo immaginato possibili, affiancando i ragazzi di Sarajevo e organizzando con loro laboratori sul tema della guerra, con un solo obiettivo: gettare ponti, ricostruire un tessuto a partire dai giovani".

"Anche il recente censimento ha evidenziato come le tre realtà etniche e religiose siano ancora molto divise: noi vorremmo provare a ricucire relazioni lacerate”.

Anche in Kosovo i “caschi bianchi” di Caritas (sono 6 quelli previsti in questo caso) lavoreranno sulla riconciliazione.
Di base a Mitrovica, seguiranno i programmi già attivati dalla Caritas locale: “In Kosovo lo spazio di manovra è molto limitato, così abbiamo scelto di lavorare soprattutto su due temi – continua Stopponi – Da un lato la comunità rom, invisa sia alla comunità serba sia a quella albanese per la sua neutralità durante la guerra; dall’altro le donne vittime di violenza, coinvolgendo i centri antiviolenza”.

Il progetto legato all’emergenza ambientale nelle Filippine sarà dedicato alle popolazioni indigene, a partire dai residenti nelle due Caritas diocesane di Capiz e Kalibo, tra le più colpite dal tifone Haiyn del novembre 2013.
“Abbiamo cominciato a operare lì proprio dopo il tifone – spiega Fabrizio Cavalletti, responsabile dell’Ufficio Africa e Asia della Caritas italiana – I Corpi civili di Pace (ne sono previsti 4) ci affiancheranno. Come è noto, le Filippine sono particolarmente esposte a rischi ambientali, per questo siamo impegnati nel rafforzamento delle attività di disaster risk reduction, riduzione del rischio di catastrofi, anche grazie all’intervento tempestivo dei cittadini”.

A Kalibo le popolazioni indigene hanno anche altre problematiche: sono molto vulnerabili, a rischio discriminazione. Così, Caritas le coinvolge per favorire l’inclusione sociale, anche a difesa dei loro diritti.

Coperti solo metà dei posti: criteri da rivedere
“Dispiace vedere che solo la metà dei posti disponibili siano stati coperti – ammette Diego Cipriani, responsabile Promozione Umana e Servizio Civile della Caritas italiana – ma la sperimentazione ha limiti evidenti”.
Tra gli obblighi posti dal Dipartimento della Gioventù e del servizio civile nazionale ce ne sono alcuni, in materia di sicurezza, che in ambito ordinario (di servizio civile) non esistono: “Lavoriamo all’estero da 15 anni, e sul tema sicurezza siamo preparati: non abbiamo mai mandato nessuno alla sbaraglio. E nella sperimentazione abbiamo trovato norme difficili da applicare. Come la dotazione di un impianto radio per ogni “casco bianco”: ci sono regimi e Paesi in cui è vietato”.
L’auspicio per il futuro, spiega Cipriani, è di essere maggiormente coinvolti nei momenti in cui queste misure vengono decise: “A pieno regime si dovrebbe arrivare a 500 volontari: per ora sono stati individuati 106. Ci sono altri 400 posti da progettare, e vorremmo contribuire anche noi. In questa prima fase si sono presentati pochi enti con pochi programmi, perché le regole imposte dal regolamento hanno spaventato tutti gli altri attori. Meglio cercare di rimediare subito, per evitare il flop di un progetto invece importantissimo”.

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)